“La fraternità, per umanizzare la democrazia”

mercoledì 1° marzo - ore 18.00-19.30

Il tema di questo incontro è: “La fraternità, per umanizzare la democrazia”. Il paragrafo 220 dell’“Evangeli Gaudium” ci ricorda: In ogni nazione, gli abitanti sviluppano la dimensione sociale della loro vita configurandosi come cittadini responsabili in seno ad un popolo, non come massa trascinata dalle forze dominanti. Ricordiamo che «l’essere fedele cittadino è una virtù e la partecipazione alla vita politica è un’obbligazione morale».  Ma diventare un popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. E’ un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia.

Relazione di Graziana Camaretta e Manuela Dimitri.  

Nella lettera “Umana Communitas” inviata dal Papa al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita si legge: “Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità”. La democrazia è la forma politica della modernità: questa modernità si è limitata a libertà e uguaglianza ma ha mancato di fraternità, come fattore costitutivo della democrazia. Lo slogan della Rivoluzione Francese e degli ideali dei doveri di uguaglianza, dei diritti di libertà e dei sentimenti di fraternità, ciascuno dei tre, e in particolare l’ultimo, sono fondamentali per umanizzare la democrazia, affinché quest’ultima sia considerata un sistema di valori.

 La cittadinanza verticale è il rapporto dei cittadini con lo stato, che si sviluppa nella rivendicazione dei diritti di libertà. La cittadinanza orizzontale è l’insieme di relazioni tra i cittadini, che si sviluppa nei doveri di uguaglianza. Tocqueville riconosce alla democrazia americana il merito di far precedere le libertà all’uguaglianza, al fine di rimuovere le disuguaglianze. La solidarietà deve governare le relazioni sociali ed è anima della democrazia. Il concetto di cittadinanza per i cristiani emerge bene nella Lettera a Diogneto, a lungo studiata da Giuseppe Lazzati e da Maria Grazia Marra. Nel 1436 in una pescheria di Costantinopoli furono ritrovate opere dei padri apologisti, tra queste anche un opuscolo a Diogneto. Nel 1592, alla fine dell’Umanesimo, il testo fu pubblicato. Si è pensato di attribuirlo a Giustino, ma la scrittura non è realmente riconducibile a lui. L’autore è ignoto ma il destinatario, Diogneto, potrebbe essere uno dei maestri di Marco Aurelio oppure uno dei procuratori di Alessandria, ad ogni modo un illustre personaggio che voleva interrogarsi sullo stile di vita dei cristiani. Papa Francesco, nel “Prologo al libro cattolici e politici. Una identità in tensione”, cita la Lettera a Diogneto come modello dell’identità politica del cristiano. Si ritrova infatti la stessa logica bipolare oppositiva a cui fa riferimento il Pontefice in altri suoi scritti.

Lettera a Diogneto. 5.1. I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per il modo di vestire. 2. Non abitano mai città loro proprie, non si servono di un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita. 3. La loro dottrina non è dovuta a un’intuizione geniale o alle elucubrazioni di spiriti che si perdono dietro a vane questioni (polypragmónon). Essi non professano, come tanti altri, dottrine umane insegnate dall’uno o dall’altro caposcuola. 4. Sono sparpagliati nelle città greche e barbare, secondo ciò che a ciascuno è toccato in sorte. Si conformano alle usanze locali nel vestire, nel cibo, nel modo di comportarsi; e tuttavia, nella 92 loro maniera di vivere, manifestano il meraviglioso paradosso, riconosciuto da tutti, della loro società spirituale. 5. Abitano ciascuno nella propria patria, ma come immigrati che hanno il permesso di soggiorno. Adempiono a tutti i loro doveri di cittadini, eppure portano i pesi della vita sociale con interiore distacco. Ogni terra straniera per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera. 6. Si sposano e hanno figli come tutti, ma non abbandonano i neonati5. 7. Mettono vicendevolmente a disposizione la mensa, ma non le donne. 8. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. 9. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. 10. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere vanno ben al di là delle leggi. 11. Amano tutti e tutti li perseguitano. 12. Non sono conosciuti, eppure sono condannati. Li si può uccidere ed essi guadagnano la vita. 13. Sono poveri e fanno ricchi molti. Sono privi di tutto e sovrabbondano di ogni cosa. 14. Li si disprezza, ma nel disprezzo trovano la gloria. Sono calunniati e la loro innocenza risplende luminosa. 15. Sono ingiuriati 93 e benedicono. Sono coperti di oltraggi, ma loro trattano tutti con onore. 16. Non fanno che del bene e tuttavia sono puniti come malfattori. Mentre soffrono entrano nella gioia, quasi che nascessero alla vita. 17. Gli ebrei li avversano, come se fossero nemici, e i greci li perseguitano, ma quanti li detestano non saprebbero in realtà dire il motivo del loro odio.

6.1. In una parola, ciò che l’anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo. 2. L’anima è diffusa in tutte le membra del corpo; i cristiani sono disseminati nelle città del mondo. 3. L’anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. 4. Invisibile, l’anima è racchiusa in un corpo visibile; i cristiani, è evidente, sono nel mondo, ma è invisibile il culto interiore che essi rendono a Dio. 5. La carne contrasta l’anima e, pur senza averne ricevuta offesa, le muove guerra, per il solo motivo che le impedisce di 94 smarrirsi nei piaceri. Anche il mondo odia i cristiani, che non gli fanno alcun torto, perché si oppongono ai suoi miraggi. 6. L’anima ama questa carne che la contrasta e le sue membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano. 7. L’anima è racchiusa nel corpo, ma è l’anima che sostiene il corpo. I cristiani sono detenuti nella prigione del mondo, ma sono essi che sorreggono il mondo. 8. Immortale, l’anima abita una tenda mortale. Così i cristiani: dimorano tra le cose corruttibili, in attesa della celeste incorruttibilità. 9. Messa alla prova dalla fame e dalla sete, l’anima si rafforza. Perseguitati, i cristiani si moltiplicano ogni giorno di più. 10. È tanto nobile il posto che Dio ha loro assegnato, che a nessuno è permesso disertare.

Vivere l’identità e la diversità è possibile proprio attraverso una continua tensione. Tendere a qualcosa è una caratteristica propria della società spirituale che è l’unione dei cristiani. La repubblica vincola i cittadini nell’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale.  Questo concetto di solidarietà è integrativo di quello di cittadinanza. La solidarietà dovuta, vera anima della democrazia, è diversa da quella voluta, tipica del volontariato e facoltativa. Giovanni Paolo II nell’enciclica “Sollicitudo Rei Socialis” dice che la solidarietà è: la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti. La solidarietà è, dunque, virtù politica che ricerca il bene comune, ma che non coincide strettamente con il bene dei cattolici.

I principi dei cattolici non possono essere tradotti nelle leggi dello stato. La fede cattolica serve a illuminare l’azione politica, a dare ispirazione al comportamento. Cosa fare con chi la pensa diversamente? Bisogna mediare. Esiste una pluralità di culture e la nostra costituzione è un chiaro esempio mediazione. L’agire da cristiani non corrisponde all’agire in quanto cristiani. La mediazioneè il modo proprio del cristiano di essere nella società. La “Lettera agli Ebrei” parla di Gesù mediatore tra il divino e l’uomo. La mediazione è, dunque, capacità di unire divino e umano, assoluto e relativo, idea e fatti, principi e realtà effettiva. Ratzinger parla dei “principi non negoziabili”, utilizzando un’espressione discutibile. Tutti i principi, infatti, sono negoziabili. La politica è l’arte del negoziare (a differenza dell’oziare). Bergoglio, infatti, parlerà di “praticabilità dei principi”.

Nel 1919 Max Weber tiene una conferenza dal titolo la “Politik als Beruf”, cioè la politica come professione o come vocazione. I politici agiscono per convinzione o per responsabilità, imponendo dei principi oppure controllandone l’applicazione per non creare danni. Sull’aborto, ad esempio, si è cercato di creare la legge migliore possibile, senza cedere sui principi. Lo stato deve tutelare tutti e i cristiani in parlamento devono cercare di mediare per scrivere la migliore legge possibile che tengo conto dei loro principi e del bene comune.

[1] CONFERENZA DEI VESCOVI CATTOLICI DEGLI STATI UNITI, Lettera pastorale Forming Consciences for Faithful Citizenship (novembre 2007), 13.