“L’umanesimo planetario di Paolo VI”

martedì 30 gennaio 18.00-19.30

Nell’introduzione dello scorso incontro abbiamo accennato all’accezione generale di umanesimo; da oggi vedremo le varie accezioni particolari. Come abbiamo già detto, dunque, l’umanesimo, nella sua accezione più generale, è definibile come un qualsiasi movimento culturale che tenda a mettere in evidenza l’intrinseco valore e l’irriducibile dignità dell’uomo.

L’Umanesimo, però, è esistito anche storicamente: nella seconda metà del XIV secolo, si sviluppò, in Italia, un movimento culturale, finalizzato al recupero della classicità antica, attraverso la rilettura delle grandi opere dei classici, compito che si legava alla letteratura e alle arti e che volendo sviluppare gli studia humanitatis, si caratterizzò come movimento umanistico. L’intento era di riandare alla classicità antica greca e latina, dal punto di vista della filologia e, soprattutto, dei valori, cioè della mentalità e dei costumi. Si riandava ai testi per recuperarne il messaggio, il senso e il significato. Una cosa classica, infatti, è una realtà che, pur datata nel tempo, parla ancora oggi e ci dice qualcosa, avendo una paradossale contemporaneità. L’Umanesimo ha restituito a quel tempo il senso e il significato del pensiero antico, dei classici greci e latini. Di lì a poco nascerà il Rinascimento e ci sarà la rinascita delle letterature e delle arti. Solo dopo molto si parlerà di umanesimo liberale, marxista, cristiano o plenario, affiancando alla parola “umanesimo” una vasta gamma di attributi.

Oggi ci dedicheremo all’accezione di umanesimo propria del pensiero di Papa Paolo VI. Nella cerimonia di chiusura del Concilio Vaticano II (1962-1065), Paolo VI (Papa Montini) consegna a Jacques Maritain, ambasciatore di Francia presso la Santa Sede (1945-1948) e suo amico personale, un messaggio indirizzato agli uomini di cultura e agli scienziati. Pur nella sua brevità, il messaggio sottolinea la convergenza fra ricerca della verità e ricerca di Dio. Per leggere in modo attento i documenti di Papa Paolo VI dobbiamo risalire a questo suo caro amico,  Jacques Maritain, e a un’altra importante figura, Emmanuel Mounier.

Nel Natale del 1929, dopo il crollo della borsa di Wall Street, Emmanuel Mounier, si interrogava sulle cause del disastro economico e, dalla sua analisi, vi scorgeva il segno della crisi di un sistema, vale a dire l’umanesimo liberale borghese, al quale si ispirava la cultura liberale del tempo. Non era una crisi economica, ma una crisi delle strutture e dell’umano (Papa Francesco direbbe una “crisi antropologica”). Mounier stesso diede vita al personalismo comunitario, con la rivista “Esprit” (1932) e con il primo articolo “Refaire la Renaissance” (1932). Il suo pensiero influenzerà quello di Maritain.

Jacques Maritain, nell’agosto del 1934, tenne sei lezioni all’università di Santander. Questo grande pensatore cristiano pubblicò, in spagnolo, “Problemas espirituales y temporales de una nueva cristianidad” (1935), per trattare il profilo di una nuova cristianità rispetto a quella medievale. Successivamente decise, sulla scorta dell’umanesimo francese, di intitolare “Humanisme intégral” (1936) il suo testo, ripubblicandolo l’anno successivo e parlando per la prima volta di umanesimo integrale.

In questo contesto, consapevole del declino dell’umanesimo, bisogna ricordare che Papa Pio XI consegnava la lettera enciclica “Quadragesimo Anno” (15 maggio 1931), in cui denunciava l’imperialismo del denaro, a quarant’anni dalla pubblicazione della lettera enciclica “Rerum Novarum” (15 maggio 1891) di Papa Leone XIII. Non molto più tardi, i cattolici democratici (La Pira, Lazzati, Dossetti), inseriranno la nozione di persona nella nostra costituzione (riprendendo Mounier e Maritain).

Maritain nella sua opera è consapevole dell’ambiguità della parola “umanesimo” e cerca di chiarirla. Per lui, essa è una parola neutra, che non dice nulla se non è legata all’idea di uomo che c’è dietro (affermerà lo stesso nei suoi saggi sull’educazione). Umanesimo è una termine generico che va precisato in riferimento all’idea di uomo di cui si fa portatore.

Nella riflessione terminologica sul significato che la parola può avere in relazione all’uomo, Maritain distingue tra un umanesimo circoscritto nel tempo, chiuso nella finitudine della storia, e un umanesimo ultratemporale, che varca la soglia del tempo e attinge al sovrumano e al divino. Con questa distinzione assume il significato forte di umanesimo che tende essenzialmente a rendere l’uomo più veramente umano e a manifestare la sua grandezza originale facendolo partecipe di tutto ciò che può arricchirlo nella natura e nella storia (concentrando il mondo nell’uomo – come diceva su per giù Scheler – e dilatando l’uomo al mondo, aprendolo alla dimensione trascendente della vita). Maritain distingue due domande: “che cosa è l’uomo”, relativa alla sua dimensione materiale, all’individuo; e “chi è l’uomo”, relativa alla sua essenza, alla persona, insieme di intelligenza e di volontà (Rosmini direbbe che la persona è volontà intelligente). Egli distingue tra umanesimo teocentrico (trascendente) e umanesimo antropocentrico (immanente). Il primo riconosce Dio come centro dell’uomo, mentre il secondo dice che il centro dell’uomo è l’uomo stesso. Con queste premesse Maritain svilupperà riflessioni interessanti tra ordine temporale e spirituale, città laica e laicità, a cui il concilio e alcuni pontefici prima e il cattolicesimo democratico poi attingeranno ampiamente.

La prima enciclica di Papa Paolo VI è “Ecclesiam Suam” (6 agosto 1964), quattordici anni esatti prima della sua morte il 6 agosto 1978). Seguirà poco dopo il documento del concilio, cioè la costituzione dogmatica sulla chiesa “Lumen Gentium” (21 novembre 1964, tre/quattro mesi di distanza dall’enciclica del papa). Nella terza parte dell’enciclica, Paolo VI dice che tre pensieri agitano il suo animo:  –1. Il pensiero che sia questa l’ora in cui la Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa, meditare sul mistero che le è proprio, esplorare a propria istruzione ed edificazione la dottrina, già a lei nota e già in questo ultimo secolo enucleata e diffusa, sopra la propria origine, la propria natura, la propria missione, la propria sorte finale. Deriva da questa illuminata ed operante coscienza uno spontaneo desiderio di confrontare l’immagine ideale della Chiesa, quale Cristo vide, volle ed amò, come sua Sposa santa ed immacolata e il volto reale, quale oggi la Chiesa presenta, fedele, per grazia divina, ai lineamenti che il suo divin Fondatore le impresse e che lo Spirito Santo vivificò e sviluppò nel corso dei secoli in forma più ampia e più rispondente al concetto iniziale da un lato, all’indole della umanità ch’essa andava evangelizzando e assumendo dall’altro –2. E deriva perciò un bisogno generoso e quasi impaziente di rinnovamento, di emendamento cioè dei difetti, che quella coscienza, quasi un esame interiore allo specchio del modello che Cristo di sé ci lasciò, denuncia e rigetta. Quale sia cioè il dovere odierno della Chiesa di correggere i difetti dei propri membri e di farli tendere a maggior perfezione, e quale il metodo per giungere con saggezza a tanto rinnovamento, è il secondo pensiero che occupa il Nostro spirito e che vorremmo a voi manifestare per trovare non solo maggiore coraggio a intraprendere le dovute riforme, ma per avere altresì dalla vostra adesione consiglio ed appoggio in così delicata e difficile impresa. (Emerge qui il concetto di riforma, inteso come ritorno alle origini, bisogna riportare il passato all’oggi, aggiornare e rinnovare la chiesa, come direbbe Papa Giovanni XXIII). –3. Terzo pensiero Nostro, e vostro certamente, sorgente dai primi due sopra enunciati, è quello delle relazioni che oggi la Chiesa deve stabilire col mondo che la circonda ed in cui essa vive e lavora. (Si parla, dunque, di dialogo interreligioso, di dialoghi, messaggi e colloqui, tre parole chiave per il concilio ed emerge la necessità di immettere nell’umano il messaggio cristiano, facendo dell’umanesimo un umanesimo cristiano,  assumendo le parole dell’umano e veicolando il senso cristiano delle stesse).

L’ellenismo è quel fenomeno che ai primi tempi del cristianesimo fornisce alla sacra scrittura e alla dottrina cristiana il vocabolario greco. La koinè greca diventa la lingua del nuovo testamento. Già nelle controversie cristologiche, volendo individuare un termine che indicasse l’unità di Cristo nella duplicità della Sua natura, si individuò la parola “persona” che vuol dire “maschera” in greco prospon. La persona è l’identità del soggetto. La lingua dell’umano e il sapere del tempo possono diventare strumento per esprimere il massaggio cristiano. In questo fenomeno di inculturazione e incarnazione del messaggio cristiano nei segni dell’umano e nella cultura del tempo, l’umanesimo assume una connotazione particolare. È un umanesimo dialogico, i cui caratteri sono mitezza, chiarezza, fiducia e prudenza. È umanesimo dialettico, che si confronta con le opinioni altrui, per far emergere gli elementi di novità presenti nelle opinioni dei tutti. Ed è umanesimo trascendente, rispetto a quello immanente.

Due testi fondamentali di Papa Paolo VI sono il “Discorso del santo Padre alle Nazioni Unite” (4 ottobre 1965) e la lettera enciclica “Populorum Progressio” (26 marzo 1967). Il Concilio Vaticano II (1962-1065) è terminato da due anni e la costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo “Gaudium et Spes” (7 dicembre 1965) è ormai nota. Papa Paolo VI parla dello sviluppo dei popoli e dell’importanza della pace. Papa Giovanni XXIII aveva scritto la lettera enciclica “Pacem in Terris” (11 aprile 1963, pochi mesi prima della sua morte il 3 giugno 1963) solo quattro anni prima dell’enciclica di Paolo VI, il quale si ricollega al suo predecessore.

Paolo VI vuole universalizzare e mondializzare la questione sociale che è nata nella seconda metà dell’Ottocento con i problemi dell’industrializzazione tra datore di lavoro e lavoratori. Egli estende la visione delle encicliche sociali a tutti i popoli: quelli della fame e del sottosviluppo, poi chiamati terzo mondo o popoli in via di sviluppo.

Egli crea un rapporto tra giustizia e pace, con un dinamismo di pacificazione progressiva dei popoli per un “umanesimo plenario“. È questa formula che ci permette di parlare di “umanesimo planetario” che non è diverso dal precedente, ma complementare ed esplicativo.

Leggiamo, dunque, alcuni passi dell’enciclica, ricordando che gli anni Sessanta sono gli stessi della guerra del Vietnam, della rivoluzione culturale di Mao, dell’indipendenza dell’Africa che si libera dal colonialismo, cadendo in un colonialismo interno con le dittature che ne impoveriscono i vari stati; sono anni di subbuglio:  3. I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello. 4. E davanti a quel vasto areopago ci facemmo l’avvocato dei popoli poveri. 11. In questo stato di marasma si fa più violenta la tentazione di lasciarsi pericolosamente trascinare verso messianismi carichi di promesse, ma fabbricatori di illusioni.

Il primo capitolo parla dello sviluppo integrale dell’uomo e descrive l’umanesimo: 14. Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. 42. È un umanesimo plenario che occorre promuovere. Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma “senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo. L’umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano”. Non v’è dunque umanesimo vero se non aperto verso l’Assoluto, nel riconoscimento d’una vocazione, che offre l’idea vera della vita umana. Lungi dall’essere la norma ultima dei valori, l’uomo non realizza se stesso che trascendendosi. Secondo l’espressione così giusta di Pascal: “L’uomo supera infinitamente l’uomo”.

Il secondo capitolo parla dello sviluppo solidale dell’umanità: 43. Lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità. 44. Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale. 51. Solo una collaborazione mondiale, della quale un fondo comune sarebbe insieme l’espressione e lo strumento, permetterebbe di superare le rivalità sterili e di suscitare un dialogo fecondo e pacifico tra tutti i popoli. 52. Senza dubbio, degli accordi bilaterali o multilaterali possono utilmente essere mantenuti, in quanto permettono di sostituire ai rapporti di dipendenza e ai rancori derivati dall’era coloniale proficue relazioni d’amicizia, sviluppate su un piano di uguaglianza giuridica e politica. 54. Ciò significa essere indispensabile che si stabilisca fra tutti quel dialogo già da Noi invocato nella nostra prima enciclica, “Ecclesiam suam“. 64. Speriamo anche che le organizzazioni multilaterali e internazionali trovino, attraverso una necessaria organizzazione, le vie che permetteranno ai popoli tuttora in via di sviluppo di uscire dal punto morto in cui paiono dibattersi come prigionieri e di rinvenire da se stessi, nella fedeltà al genio di ciascuno, i mezzi del loro progresso sociale e umano. 65. Perché è proprio a questo che bisogna arrivare. La solidarietà mondiale, sempre più efficiente, deve consentire a tutti i popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro destino. Il passato è stato troppo spesso contrassegnato da rapporti di forza tra nazione e nazione: venga finalmente il giorno in cui le relazioni internazionali portino il segno del rispetto vicendevole e dell’amicizia, dell’interdipendenza nella collaborazione, e della promozione comune sotto la responsabilità di ciascuno. I popoli più giovani e più deboli reclamano la parte attiva che loro spetta nella costruzione d’un mondo migliore, più rispettoso dei diritti e della vocazione di ciascuno. Il loro appello è legittimo: a ognuno d’intenderlo e di rispondervi.