“Il popolarismo di Papa Francesco”

lunedì 5 dicembre - ore 18.00-19.30

Il titolo scelto per questo seminario di formazione è: “Popolo di Dio e Fraternità
dei Popoli”. L’esergo che sintetizza il percorso proposto è il paragrafo 220 della
esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”: In ogni nazione, gli abitanti sviluppano la
dimensione sociale della loro vita configurandosi come cittadini responsabili in seno ad
un popolo, non come massa trascinata dalle forze dominanti. Ricordiamo che «l’essere
fedele cittadino è una virtù e la partecipazione alla vita politica è un’obbligazione
morale» 1 . Ma diventare un popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel
quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. E’ un lavoro lento e arduo che esige di
volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una
pluriforme armonia.

L’incontro di oggi, intitolato “Il popolarismo di Papa Francesco”, ha come
obiettivo quello di spiegare perché è possibile definire il sistema culturale di Papa
Francesco con il termine “popolarismo”. Tutto ciò che Papa Francesco pensa della
storia, della vita, del mondo e della chiesa scaturisce dalla nozione di popolo. Nel
paragrafo 220 sopracitato, la parola “popolo” è riportata due volte. In tutta
l’esortazione apostolica, “popolo” è il termine che ricorre più volte dopo la parola “Dio
che è in assoluto la più ricorrente. È evidente che “Evangelii Gaudium” non può essere
stata scritta in poco tempo. L’esortazione apostolica è pubblicata alla fine del primo
anno di pontificato di Papa Francesco; Bergoglio è eletto nel marzo del 2013, il testo è
promulgato nella Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, nel
novembre del 2013. Da marzo a novembre, Papa Francesco non poteva sviluppare un
pensiero così suggestivo e così complesso. Da una lettura di tutto ciò che Bergoglio
(Provinciale dei Gesuiti, Vescovo, Arcivescovo e Cardinale) ha scritto in Argentina,
questo testo emerge in quanto momento evolutivo del pensiero del Pontefice, nonché
come trascrizione di intere pagine di discorsi di cose da lui dette come pastore della sua
diocesi. Il suo pensiero può essere considerato sotto la voce “popolarismo” con una
accezione particolare. In un’intervista che Papa Francesco rilascia alla stampa
nell’agosto del 2019, al giornalista che gli chiede cosa pensi del popolarismo, il Pontefice
risponde di non poter definire nettamente questo concetto, ma di averlo approfondito
durante i suoi studi teologici. A quali studi fa riferimento? Quale teologia gli permette di
fare della categoria “popolo” il fulcro del suo pensiero?

1 CONFERENZA DEI VESCOVI CATTOLICI DEGLI STATI UNITI, Lettera pastorale Forming Consciences for
Faithful Citizenship (novembre 2007), 13.

È la teologia del popolo, un versante della teologia della liberazione elaborata in
America Latina da alcuni teologi, sulla scorta del pensiero di Paolo Freire, grande
pedagogista, educatore e autore di testi sull’educazione umana come processo di
liberazione dai condizionamenti. Accedere alla libertà dello spirito è il momento
perfettivo dell’educazione. Sul piano politico, la teologia della liberazione sviluppa l’idea
del riscatto sociale, tuttavia, a causa di alcune coincidenze con il pensiero marxista, non
viene considerata ortodossa; la teologia del popolo, invece, trasferisce tali istanze
politiche sul piano pastorale e diviene il modo di pensare Dio a partire dal popolo.
Questa svolta antropologica porta a definire Dio a partire dal popolo. La teologia
corregge, dunque, il suo metodo e la sua maniera di pensare Dio. Il Concilio dice, infatti,
che non è possibile conoscere pienamente Dio se non si conosce bene l’uomo.

Il popolarismo si distingue dal populismo. Il popolo si differenzia dalla massa: la
dignità di popolo è propria del popolarismo, la condizione di massa caratterizza il
populismo. Nell’enciclica “Fratelli Tutti”, il paragrafo 157 spiega questa differenza: È
molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che
diventi un sogno collettivo. Tutto ciò trova espressione nel sostantivo “popolo” e
nell’aggettivo “popolare”. Se non li si includesse – insieme ad una solida critica della
demagogia – si rinuncerebbe a un aspetto fondamentale della realtà sociale. E più avanti
il numero 158 aggiunge: Il servizio che prestano (si riferisce ai leader popolari, cioè ai
politici), aggregando e guidando, può essere la base per un progetto duraturo di
trasformazione e di crescita, che implica anche la capacità di cedere il posto ad altri nella
ricerca del bene comune. Ma esso degenera in insano populismo quando si muta
nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente
la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto
personale e della propria permanenza al potere.

Non si può prescindere dal fatto che, storicamente, il popolarismo è il sistema
politico del Partito Popolare, fondato nel 1919 da Don Luigi Sturzo, prete siciliano,
studente presso la Gregoriana a Roma, insegnante di filosofia nel Seminario della sua
diocesi, nonché artefice di un’esperienza politica nuova capace di marcare un passaggio
storico fondamentale. Dall’Unità d’Italia, nel 1861, fino alla fondazione del Partito
Popolare, nel 1919, i pronunciamenti dei Papi (Pio IX prima e Leone XIII dopo) avevano
vietato ai cattolici la partecipazione alla vita politica; la Questione Romana si considera
risolta definitivamente solo nel 1929 con la firma dei Patti Lateranensi. Il progetto di
Sturzo è presentato con un discorso nel 1915, a Caltagirone, dove egli era stato
vicesindaco. Il popolarismo di Sturzo, però, non ha niente a che vedere con quello di
Papa Francesco. Se per Sturzo il popolarismo è un sistema politico, che permette di
pensare la politica, per Bergoglio esso è un sistema culturale, che ingloba vita, storia,
mondo e chiesa. Ecco la grandezza e il limite di Papa Francesco; l’integralismo non è
ideologico, ma certamente antropologico.

In Italia, nell’Ottocento, il termine “popolo” ha una accezione negativa, poiché
indica la plebe. Massimo D’Azeglio, dopo l’unità d’Italia afferma in una celebre frase:
“Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”. È merito della pedagogia politica
dalla metà dell’Ottocento, tra i cui rappresentanti vale la pena citare Rosmini e lo stesso
Mazzini, Lambruschini e Capponi, quello di promuovere l’educazione popolare e
nazionale. L’educazione è nazionale nella misura in cui assume il popolo come soggetto,
cioè entità alla quale fare riferimento; è popolare nella misura in cui educa all’italianità,
cioè al concetto di nazione che sta nascendo. Sturzo coglie il momento di riscatto del
termine “popolo” dalla sua accezione negativa; il popolo inizia a essere considerato
come comunità che continuamente fa la storia. Il Papa dice proprio questo: diventare
popolo è un processo che coinvolge tutte le generazioni.

La parola “popolo” è quella che più il Papa ha cercato di definire, pur senza
riuscire ad arrivare a una definizione decisiva, a causa della densità di significato che la
caratterizza. Non è una categoria sociologica, né un’espressione da mitizzare; è il farsi
della storia, un processo in continua costruzione. A questa idea di popolo bisogna
collegare la concezione che il Papa ha della religione cristiana. Bergoglio parla di
cristianesimo popolare che si esprime nella pietà popolare: non mera manifestazione
folkloristica della fede, ma vera inculturazione popolare della stessa. Le verità di fede e
il credo religioso si esprimono con il linguaggio e i gesti del popolo. La fede che studiamo
nella teologia e che celebriamo nella liturgia è la stessa che il popolo vive nella sua
quotidianità e rappresenta nei segni che caratterizzano la vita di ogni giorno.

Il popolo diventa credente, passando dalla condizione naturale alla condizione
sovrannaturale. Elevato dalla grazia, diventa popolo di Dio, chiesa, comunità civile e
comunità religiosa. La complessità suggestiva della nozione di popolo non è certamente
la stessa di plebe. Vincenzo Cuoco, filosofo e storico, viceré di Napoli, dice che il popolo
non è sentina del vizio, ma noi tutti siamo dentro il popolo e nessuno deve vergognarsi
di appartenere allo stesso. Il passaggio dalla natura alla grazia, secondo l’accezione della
teologia scolastica, è riassunto nell’espressione grazia perficit naturam cioè la grazia
perfeziona la natura, eleva a livello superiore le qualità umane e rende l’uomo creatura
sovrannaturale. Questo passaggio ci porta a parlare della genesi del regno di Dio nel
mondo. La costituzione “Lumen Gentium” dedica un capitolo al popolo di Dio e lo
considera come fiume che cammina nella storia, insieme con altri popoli, dentro la
stessa umanità. Questo sarà l’auspicio finale dei tempi: il popolo come città dell’uomo e
come città di Dio, inizialmente prefigurata dalla Chiesa.