Don Lorenzo è morto 50 anni fa, il 26 giugno 1967 ed è morto a 44 anni.
Ormai il tempo della morte ha superato quello della vita e quando per un personaggio il
tempo della morte è superiore a quello della vita e continua ad essere attuale significa che
siamo di fronte ad un uomo che ha saputo leggere ed anticipare il futuro.
Si tratta di un personaggio il cui pensiero non invecchia facilmente perché ha toccato
corde sensibili, presenti in ogni persona umana che, se fatte vibrare, fanno distinguere il
bene dal male, il giusto dallo sbagliato, l’opera di carità dall’impegno sociale per la
promozione dei diritti essenziali di ogni individuo.
Don Lorenzo è stato sicuramente uno di questi e resta attuale perché quelle corde ancora
le fa vibrare quando si leggono i suoi scritti, non le letterine insignificanti, ma quelli che
hanno lasciato il segno.
La Fondazione a lui dedicata, in questi anni, ha messo in luce alcuni aspetti non
conosciuti, o scarsamente noti della sua vita o del suo pensiero.
Questo non per celebrarlo ma per diffondere un’esperienza e un insegnamento che
hanno ancora molto da dire al nostro presente.
Abbiamo scavato in quel periodo che va da quando attuò il vero “ tradimento” verso il
mondo a cui apparteneva, la sua famiglia, fino all’entrata in seminario.
Ho detto primo grande tradimento perché l’inizio del vero capovolgimento della sua vita
non avvenne con l’entrata in seminario, ma quando, terminato il liceo, comunicò a sua
madre Alice che non sarebbe andato alla università.
Una decisione che lo portava a rifiutare, in modo definitivo, il suo mondo colto e borghese
e che conseguentemente non gli fece seguire la strada accademica della razza cui
apparteneva suo bisnonno, suo nonno, suo padre, suo fratello. Lui invece decide di
cambiare strada e lo fa tutto da solo, quasi da ragazzo, senza essere aiutato da nessuno.
Probabilmente stava rispondendo a un turbamento interiore provocato dalla ribellione della
sua coscienza.
Di fronte alla coscienza siamo soli, terribilmente soli e siamo contemporaneamente
accusatori, difensori e giudici di noi stessi. Se saremo capaci di accettare la chiamata di
quella severa corte imboccheremo la strada giusta, anche se in salita e faticosa, altrimenti
saremo latitanti e costretti a percorrere nella vita strade tortuose che spesso levano la
pace.
Nella Lettera ai giudici don Lorenzo eleva al massimo il primato della coscienza su tutto il
resto.
Il giovane Lorenzo dopo il liceo fu interrogato dalla propria coscienza e intuì che la
condizione umana cammina con i tanti non privilegiati e che il privilegio è la fuga dei pochi dalla condizione umana.
Lui, la sua famiglia, le sue amicizie appartenevano a quel mondo ristretto che tenevano
saldamente in mano la somma di due grandi privilegi: la ricchezza culturale e quella
economica. Ricchezze che erano state acquisite a scapito dei molti.
Lorenzo voleva stare con i più, camminare con loro, condividere le loro ragioni, aprire ai
perdenti lo scrigno dei vincenti. Così buttò il cuore dall’altra parte della barricata e
cominciò a cercare. Fu il primo grande atto di coraggio. Il Coraggio che caratterizzerà
tutte le scelte della sua vita.
In questa ricerca incontrò il Vangelo le cui verità lo sconvolsero e lo portarono a decidere
di servire il Dio dei poveri col sacerdozio. Se si vogliono veramente afferrare e capire fino
in fondo le scelte, la forza del pensiero e le opere del sacerdote Lorenzo Milani, bisogna
partire da questa scelta radicale che fece di servire il Dio di Abramo e la Chiesa di Pietro
attraverso i poveri
In questi 50 anni su don Lorenzo è stato scritto molto come uomo di scuola. come
riformatore sociale, come innovatore, trascurando spesso la vera molla che muoveva tutto:
il prete che poneva come pilastro della sua evangelizzazione l’impegno per dare dignità
alla persona umana, perché l’ingiustizia sociale offende prima Dio e poi gli uomini.
Promuovere con coraggio la forza rivoluzionaria del Vangelo e la sua radicalità fa
rifiutare all’uomo di Dio alibi e compromessi. In questa coerenza e coraggio sta la
forza di don Lorenzo.
Per farlo conoscere in tal senso abbiamo curato e pubblicato, nel corso degli anni, molti
suoi scritti e lettere inedite, che hanno lasciato il segno, da cui emerge il vero don
Lorenzo e la fede incrollabile che lo muove.
Fede che sosterrà ogni suo atto e che è evidente già nel primo invito ai giovani operai e
contadini di ogni provenienza politica di San Donato, per invitarli ad andare a scuola da lui
in canonica. Scrive: “Se io prete mi interesso alla tua istruzione non è per farti della
propaganda, ma perché ho la certezza che allargando la tua mente a qualsiasi cosa bella
e vera e buona ti farò fare cosa giusta al tuo Dio che te l’ha data per questo”.
Non fu capito dalla sua Chiesa che prima lo manda in esilio a Barbiana per farlo tacere e
poi condanna il suo libro Esperienze Pastorali.
Questa nuova condanna è stato il segno inconfondibile di un volontà della gerarchia della
Chiesa dell’epoca di voler fermare un pensiero che camminava in avanti.
In quel libro c’è l’uomo di fede con i piedi saldamente nella società che vorrebbe la sua
Chiesa schierata con i più deboli e le loro ragioni, impegnata a tirar fuori i valori posta da
Dio nei loro cuori e nelle loro menti.
Urta invece contro una Chiesa non pronta ad accettare un pensiero nuovo che guarda
avanti. Non si trattò infatti di una condanna per deviazione dottrinale, ma dell’ordine al
ritiro dal commercio e del divieto di ristampa solo per motivi di opportunità.
Ma la Chiesa cammina e ha camminato fino a darci, un Papa come Francesco, che
considero un gran dono che Dio ha fatto alla Chiesa e alla società. Abbiamo ritenuto che
potesse essere proprio lui, Papa Francesco, a dichiarare decaduto il decreto di condanna
su Esperienze Pastorali. Così in occasione della ricorrenza del 90° anno dalla nascita di don Lorenzo gli abbiamo scritto in tal senso.
Papa Francesco non solo ha fatto decadere quel decreto ma si è recato a Barbiana a
pregare in silenzio e solitudine sulla tomba di don Lorenzo indicandolo come esempio di
sacerdote da seguire.
A Barbiana don Lorenzo affinò ulteriormente il suo messaggio religioso scolastico e
sociale. Nel niente di quei monti trovò il concentrato di ingiustizie sociali che esaminò con
mente aperta ed intelligente, se ne fece carico e divenne ulteriormente scomodo e
scomodante.
Lassù si sarebbe scoraggiato chiunque, lui decise di non arrendersi e cercare una nuova
strada per continuare a vivere. Dio dà il peso ma anche la forza per portarlo.
Per continuare a vivere inventò dal nulla una scuola per 6 ragazzi che avevano finito le
elementari in una pluriclasse.
Per nove lunghi anni restò quasi in silenzio consacrando il suo sacerdozio a quei sei
ragazzi destinati a restare, senza quella scuola, nel mondo dei vinti e degli emarginati.
Durante quegli anni dà e riceve. Dona ai ragazzi gli strumenti per camminare in modo
diverso nel mondo e riceve in cambio una cultura nuova, quella dei poveri, capace di
trasformarlo completamente offrendogli occhi, orecchie, cuore e persino un linguaggio
nuovo.
Nel 1965 fu costretto a riprendere in mano la penna per rispondere ai cappellani militari,
che avevano pubblicamente dato di vigliacchi a quei giovani disposti ad affrontare il
carcere per un ideale alto. In quello scritto troviamo l’uomo nuovo, parla e scrive come i
barbianesi, vede le cose dal loro stesso punto di vista. Fin dall’inizio mette subito le cose
in chiaro: “se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri nel vostro senso io
non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato,
privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.
Aveva intuito da che parte doveva andare il mondo e spingeva in quella direzione. Un
concetto che in Lettera a una professoressa riprenderà con la celeberrima frase stando
con gli altri ho capito che uscire da solo dai problemi è l’avarizia, uscirne insieme è la
politica”.
La politica bella, non l’intrigo e cioè la forza del debole e la voce dei senza voce.
Ed ancora, guardando la scuola aveva capito che il maestro è destinato ad essere
progressista e a spingere il ragazzo verso alti ideali e verso il futuro. Perché se la scuola si
ammala o guarda in basso, si ammala e si impoverisce anche la società dato che la
scuola deve costruire il cittadino del domani.
Oggi don Lorenzo è più di ieri punto di riferimento nella scuola perché ha detto cose che
hanno la forza straordinaria della ovvietà. Come lo sono le sue affermazioni che indicano
una scuola in cui si va per imparare e non per essere giudicati, perché la scuola che
scaccia il ragazzo che meno sa, assomiglia ad un ospedale che respinge i malati e cura i
sani. Ed ancora: la scuola deve colmare le differenze culturali che esistono tra i ragazzi di
provenienza familiari diversa e quindi non può fare parti eguali tra disuguali.
Sotto accusa la scuola selettiva che crea differenze anziché colmarle. A Barbiana a
scuola si andava per imparare e l’ultimo non si abbandonava mai ma lo si prendeva per
mano e portato al livello del primo, poi insieme si continuava il percorso.
Concetti attualissimi perché ancora oggi la scuola continua ad essere selettiva e scaccia sempre gli stessi, cioè i più deboli.
Don Lorenzo è attuale anche sul piano sociale perché, nonostante lo scorrere degli anni, quanto ha denunciato e combattuto è rimasto, sia pure sotto altre forme, pressoché
intatto.
Infatti ieri come oggi ci sono i primi e gli ultimi, gli inseriti e gli emarginati, i colti e gli incolti,
gli oppressi e gli oppressori: il mondo resta squilibrato a sfavore degli stessi.
La voce di chi come don Lorenzo ha messo il dito nelle piaghe, continua a farsi sentire
alta e forte e ci dice di non arrenderci, perché se ognuno si sente responsabile, l’utopia
può diventare realtà.
L’esperienza di Barbiana in sostanza ha trasformato l’utopia in realtà.
Quel luogo – Barbiana – era niente, senza futuro e senza speranza. Lui è riuscito a
convertire il niente in consistenza, il silenzio in voce che ha parlato molto lontano sia
come luogo che come tempo.
Il tutto sorretto da due grandi forze: l’amore per il prossimo e la fede nella parola
evangelica. Due forze che in don Lorenzo si sono fuse insieme, diventando una miscela
sociale e religiosa esplosiva.
Se voi un giorno salirete a Barbiana troverete in chiesa un grande mosaico di vetri colorati
fatto dai ragazzi su disegno di don Lorenzo. Rappresenta un monachello scolaro che
studia all’area aperta. “Lo abbiamo fatto in vostro onore, disse il Priore, perché conducete
una vita da monaci di clausura.” Quando fu terminato affermò: “Lo chiameremo Santo
Scolaro”.
E’ l’unico maestro al mondo che ha amato così tanto i suoi ragazzi da incarnarli in un
santo e porlo sull’altare. Un amore sconfinato che ha avuto per loro e per tutte le Barbiane
del mondo.
Lo stesso amore che fa dire a Dante nella Divina Commedia “ che muove il sole e le altre
stelle”.
Una forza enorme che dona gratuitamente ed ha la capacità di muovere il mondo
Oggi tutti cercano di appropriarsi di don Lorenzo, anche il mondo borghese da cui lui è
fuggito, che fa su di lui pubblicazioni con un linguaggio e con finalità lontanissime dal suo
modo di essere, spesso più per servirsene che per servirlo.
E’ un modo per neutralizzare il suo urlo di giustizia: “celebriamolo, portiamolo nei salotti,
mettiamolo in cornice ma lasciamo che le cose restino invariate, senza nessun impegno
concreto per attuare quanto lui ha detto e fatto. Ma don Lorenzo non è uomo da salotto o
da museo. E’ uomo dei poveri che ha amato e dai quali è amato, perché ha avuto il
coraggio di combattere e pagare di persona per affermare la loro dignità.
E’ a loro che appartiene e per questo resterà sempre scomodo e scomodante.
Come sono tutti gli uomini di Dio don Lorenzo continuerà a camminare sulle strade
insieme ai suoi poveri seguitando a scuotere e turbare le coscienze.
Firenze, 12/11/ 2017
Michele Gesualdi
Presidente Fondazione Don Lorenzo Milani