La cornice maestosa di San Pietro nel giorno solenne di apertura del ventunesimo concilio generale della Chiesa cattolica, l’11 ottobre 1962, aveva fatto dimenticare l’entità del grande lavoro preparatorio iniziato subito dopo l’annuncio del 25 gennaio 1959, ma anche tutti i notevoli problemi organizzativi che senza dubbio fecero fronte alla partecipazione di tante persone.
Indire un Concilio, da parte del Papa, smentiva la convinzione che il suo pontificato sarebbe stato di transizione, non solo per ragioni cronologiche vista l’età avanzata di Giovanni XXIII, eletto quasi ottantenne, ma anche da un punto di vista teologico e pastorale dopo gli anni intensi del pontificato pacelliano. Erano trascorsi secoli che un atto squisitamente ecclesiale non avesse un effetto tanto complesso e vistoso.
La convocazione del nuovo Concilio è stata la conseguenza di una convinzione esclusiva del Papa, lentamente sedimentata nel suo spirito, incoraggiata anche da altri e, infine, divenuta scelta autorevole e irrevocabile – afferma lo storico G. Alberigo – nel trimestre successivo all’elezione al pontificato. Una decisione libera e indipendente, come forse mai si era verificato nella storia dei concili ecumenici. Una convocazione che non è stata preceduta da trattative diplomatiche né da formali consultazioni ecclesiastiche e che pertanto ha colto tutti di sorpresa: amici e avversari, dentro e fuori la Chiesa cattolica, al vertice come alla base.
Lo scenario mondiale in cui nasce e si prepara questa convinzione del Papa trova pareri discordi alla celebrazione di quel grande Evento: gli scettici erano dell’opinione che gli strascichi della guerra fredda fossero presagio che il peggio, cioè un conflitto atomico, fosse vicino, erano numerose le motivazione da loro portate. L’irrigidimento dei sovietici su Berlino sino alla costruzione del muro che provocò la viva reazione di Kennedy; la presa di potere dell’ Avana nel gennaio 1959 di Fidel Castro sostenuto da Krusciov sino al punto di volerlo dotare di armi atomiche e che portò alla crisi dei missili e al limite di uno scontro diretto USA-URSS nell’ottobre-novembre 1962; ci sono anche i conflitti settoriali causati da una decolonizzazione in atto, Congo belga (1960-1961), Algeria francesce (1954-1962); dal 1962 al 1964 si assiste ad una recrudescenza della complicata situazione in Vietnam. Le stesse conquiste del cielo, nello scenario mondiale in cui si inserisce il Concilio, erano più una dimostrazione di super-potenza che desiderio di raggiungere conoscenza dello spazio: Sputnik sovietico nel 1957 e nell’anno successivo l’Explorer americano, Gagarin nel 1961 raggiunge lo spazio…
Non era semplice pessimismo quello che veniva manifestato da alcuni con l’analisi di questo scenario, se si pensa che il Vaticano I aveva risentito di una interruzione inaspettata a causa della guerra franco-prussiana e dell’entrata degli italiani a Roma, oppure sono da ricordare le molteplici interferenze sul Concilio di Trento che ha causato il suo protrarsi dal 1545 al 1563.
Dinanzi a questo contesto, nel quale si prepara il Concilio Vaticano II, lo storico Giuseppe Alberigo si pone una domanda che forse è quella di ciascuno di noi: “Chi potrebbe dire che ciascuno di questi elementi fosse presente al Papa al momento della sua decisione?”. La risposta che si dà la possiamo far nostra: “Ma tale ne è il contesto, contesto dal quale era poco o tanto influenzato, e del quale sembra tenere in considerazione solo gli aspetti positivi: indirettamente senza dubbio, la convocazione del Concilio benefica dell’ottimismo economico, politico e culturale generale. Si cercherebbero invano dei legami più stretti: bisogna accontentarsi di affermare, e non è poca cosa, che la decisione pontificia appare convergente, nella sua volontà di unione e di apertura, con una delle tendenze più forti dell’epoca, tendenza che contribuiva a rinforzare notevolmente”.
A questa analisi, che a molti può presentare tanti punti deboli, si deve aggiungere quella prerogativa importante, che per i credenti è fondamentale, che è l’azione dello Spirito Santo con la quale Il Papa tiene ben saldo il timone e guida la barca di Pietro. Certamente così si spiega meglio – non per faciloneria, ma per un cristiano è sano realismo – il grande entusiasmo di Giovanni XXIII nell’annunciare il suo progetto e nell’arricchirlo di suggerimenti e stimoli nel tempo della preparazione.
E’ un atto ufficiale del Papa a dare inizio alla fase antepreparatoria: viene costituita una Commissione presieduta dal cardinale Domenico Tardini, Segretario di Stato, e come Segretario viene nominato monsignor Pericle Felici. La prima riunione della Commissione si svolge il 26 maggio 1959 stabilendo commissioni di studio per elaborare proposte e suggerimenti e il 18 giugno successivo viene inviata una lettera, a quelli che saranno i Padri conciliari, invitandoli a far pervenire indicazioni e consigli sugli eventuali temi da trattare al Concilio. In seguito la medesima lettera verrà inviata anche ai Rettori delle Pontificie Università e ai responsabili dei Centri di studio cattolici.
Un numero speciale dell’Osservatore Romano, dell’11 ottobre 2012, ci consente di conoscere che vengono inviate 2.594 lettere ai membri della gerarchia, 156 ai superiori religiosi e 62 tra Rettori e responsabili di istituti di studi superiori. In tutto i soggetti interpellati dalla Commissione saranno 2.812.
A questa impostazione del lavoro iniziale segue la fase preparatoria al Concilio, anche questa iniziata ufficialmente il 30 maggio 1960 dal Papa. A quella data le risposte pervenute a Roma hanno già superato il numero di duemila e, sommando quelle giunte in seguito, si arriva a 2150, il 76 per cento del totale dei soggetti interpellati.
Da una pubblicazione del 2007, curata da mons. Cosmo Francesco Ruppi, possiamo approfondire in che modo i Vescovi pugliesi parteciparono, con le loro risposte, alla fase antepreparatoria del Concilio, ma anche i loro pareri scritti spediti alla Commissione. Questo patrimonio di interventi fatti giungere alla Segreteria generale, che è stato pubblicato, consente di farsi un’idea delle attese che il Vaticano II suscitò sin dal suo primo annunzio. “Sono 21 i Vescovi pugliesi – mette in evidenza mons. Ruppi nel volume citato – che rispondono: alcuni assai diffusamente e argomentatamente; altri sommariamente e per cenni. Da queste pagine emerge un quadro variegato dell’Episcopato pugliese, che comprende uomini provenienti dalla cattedra ed altri dalla esperienza pastorale diretta: alcuni entrano d’impeto nello spirito conciliare, altri faticano per coglierne la portata. Tutti, però, anche chi dà la risposta con ritardo o addirittura dopo qualche sollecitazione, attende molto dal Concilio”.
La risposta che mons. Motolese invia, in data 15 ottobre 1959, al Cardinale Presidente è redatta in tredici punti. Propone, “per la maggiore gloria di Dio, per il trionfo della Chiesa e a salvezza delle anime”, che il Concilio debba sottolineare la “Mediazione universale della Beata Maria Vergine, che spieghi tutti i privilegi che Dio ha riunito in Lei”; la “condanna di ogni sorta di materialismo […] perché si riaccenda in tutti gli uomini la giusta considerazione per la dignità e la vera grandezza della persona umana come anche del suo fine eterno”; “siano riaffermate la santità della famiglia cristiana, la fedeltà indefettibile dei coniugi, l’indissolubilità del vincolo matrimoniale”; “si istituisca un organo supremo che si occupi della Dottrina cristiana e dell’Apostolato dei laici”; anche altre richieste vengono proposte: che si metta a fuoco la stabilità dei parroci, il trasferimento di sacerdoti in altre dicesi, la vita comune dei sacerdoti diocesani, la corretta educazione degli alunni nei Seminari.
Le richieste formulate dai Vescovi pugliesi non si discostano, in larga misura, da quelle espresse dall’Episcopato mondiale. Da più parti fu segnalata l’urgenza di sviluppare l’antropologia cristiana per rispondere alla “questione antropologica” dell’uomo contemporaneo. Venne sollecitata una teologia del laicato che chiarisse natura e missione del laico nella Chiesa Fu sollevato il grande problema teologico tra natura e grazia, per aggiornarlo alla cultura teologica. Dalla tante risposte pervenute risultò, poi, evidente la necessità di riflettere sui problemi della cultura, della politica, dell’economia, della scienza, in relazione alla fede.
La fase preparatoria entra nel vivo il 5 giugno 1960, festa di Pentecoste con la promulgazione del motu proprio Superno Dei nutu. Giovanni XXIII stabilisce gli organismi preparatori del Concilio: una Commissione centrale presieduta dal Papa e dieci Commissioni di studio su diversi argomenti, due segretariati: il primo per la stampa e lo spettacolo, il secondo per l’unione dei cristiani. Il lavoro parte con celerità e sulla base dei dati, forniti dalla precedente consultazione, procede alla redazione degli schemi per gli argomenti che il Papa intendeva sottoporre al Concilio.
L’11 aprile 1961 nella Lettera apostolica Celebrandi Concilii Oecumenici, Papa Giovanni XXIII raccomanda ancora preghiere per il Concilio. Il 25 dicembre 1961, con la Costituzione Apostolica Humanae Salutis, Papa Roncalli indice e convoca per l’anno successivo il Concilio Ecumenico Vaticano II. Il 6 gennaio 1962 il Papa indirizza i sacerdoti di tutto il mondo l’Esortazione apostolica Sacrae Laudis, invitandoli a celebrare la Liturgia delle Ore per il buon esito dell’Assise conciliare. Il 2 febbraio 1962, nel motu proprio Consilium, stabilisce che il Concilio inizi l’11 ottobre 1962. E finalmente, il 28 aprile 1962, con la Lettera Apostolica Oecumenicum Concilium, raccomanda la recita del Rosario per il buon inizio del Concilio.
Queste ultime non sono sterili date, che segnano in qualche modo la conclusione della fase preparatoria alla grande Assise Ecumenica, ma esse denotano l’ordine profondamente soprannaturale e spirituale dell’Evento.
Ormai il lungo cammino del Concilio Ecumenico Vaticano II prendeva il via, con tanta speranza nel cuore.