Il tema di oggi è centrale per tutto il corso perché unisce le parole fraternità e democrazia. La democrazia è il sistema sociale e politico delle culture occidentali. La fraternità è centrale nel pensiero di papa Francesco. Il papa, infatti, cerca di coniugare i due aspetti. Partendo dalla precisazione del rapporto tra fede e democrazia, il papa analizza il legame tra il senso della fede e il significato della democrazia: c’è una distanza abissale. La fede è enunciazione di una verità. La democrazia è esercizio di una opinione. Da una parte la verità, dall’altra l’opinione. In greco la differenza è tra aletheia (verità) e doxa (opinione).
Fatta questa precisazione, cerchiamo di capire se la fraternità sia legata alla fede o se possa essere una categoria politica. La risposta è di fare della fraternità una categoria politica. La fraternità e la democrazia non sono nate sull’albero del cristianesimo. La fraternità non è espressione del cristianesimo, ma è il terzo aspetto nato dalla Rivoluzione francese, che era passaggio dalla monarchia alla democrazia. Nasce, dunque, in un contesto ben definito. Anche la democrazia non è espressione del cristianesimo. Solo con Pio XII si arriva ad affermare esplicitamente la qualità umana della democrazia. (Pio XII ha affermato che la democrazia più di altri sistemi contribuisce alla creazione dell’umano, non prescindendo dal personalismo di Maritain e di Mounier). Si è giunti, allora, al riconoscimento della democrazia come il sistema migliore per promuovere l’umanizzazione della società.
Papa Francesco scrive sulla fraternità e sull’amicizia sociale. Non c’è nessuna definizione di fraternità. Il papa è allergico alle argomentazioni teoriche; uno dei quattro principi che devono presiedere alla costruzione della società è che la realtà è superiore all’idea; non contano le teorizzazioni. In base a questo principio, il papa spiega il concetto di fraternità attraverso la parabola del buon samaritano. Il papa offre una lettura politica della parabola.
Ecco che al capitolo III dell’enciclica “Fratelli tutti” si afferma: (66) Meglio non cadere in questa miseria. Guardiamo il modello del buon samaritano. È un testo che ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale. È un richiamo sempre nuovo, benché sia scritto come legge fondamentale del nostro essere: che la società si incammini verso il perseguimento del bene comune e, a partire da questa finalità, ricostruisca sempre nuovamente il suo ordine politico e sociale, il suo tessuto di relazioni, il suo progetto umano.
È un’affermazione di grande suggestione perché parlando della parabola, e volendola affidare all’ermeneutica (interpretazione e attualizzazione) e non all’esegesi (mera analisi), il papa offre una lettura politica della stessa. Emerge la tipologia dei personaggi: quelli che si fanno carico del dolore e quelli che vanno oltre con indifferenza. C’è una distinzione chiara: chi si fa prossimo e chi si allontana. La prossimità serve a definire la fraternità. Non è vicinanza fisica, temporale, etnica, religiosa. Ma è il contrario, ecco il paradosso del Vangelo: il samaritano è uno straniero, un pagano; l’unico che si occupa di quell’uomo è uno straniero; gli uomini di chiesa passano oltre, lo straniero rimane. La grandezza di questo insegnamento è che la prossimità può essere messa in cima a un’accezione semantica di fraternità. Prossimità è un sinonimo di fraternità. L’uso del termine fraternità è sempre nell’accezione della Rivoluzione francese, al fine di rendere fraterna la società, secondo quel modulo di relazione che c’è tra fratelli.
Storicamente la fraternità del samaritano è stata esercitata nell’ospitalità e nell’accoglienza dell’altro. L’origine latina della parola ospite è la stessa di ospedale, che nasce come esercizio di fraternità verso i sofferenti. L’accoglienza è, stando all’etimologia del termine, l’andare ad abitare presso l’altro, il sapersi mettere nei panni dell’altro, sperimentando la sua condizione di vita, con lui e come lui.
Ecco che si inserisce, a questo punto, il tema dell’assistenza e della cura (della quale parla anche il papa nel sottotitolo dell’enciclica “Laudato sì, sulla cura della casa comune”). L’origine della parola cura è la stessa della parola curato, colui che cura le anime.
La forma compiuta della fraternità è, in assoluto, l’amore. Come afferma il papa: (92) La statura spirituale di un’esistenza umana è definita dall’amore, che in ultima analisi è «il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana». L’amore si estende al di là di ogni frontiera ed è alla base di ciò che chiamiamo fraternità e amicizia sociale. Ritorna la valenza politica della parabola del buon samaritano. Papa Francesco definirà l’amicizia sociale come “amore politico”. La fraternità è, dunque, prossimità, ospitalità, accoglienza, assistenza, cura e, soprattutto, amore, nella sua forma più elevata.
Ora bisogna vedere in che modo la fraternità può umanizzare la democrazia. Francesco recupera la definizione integrale di democrazia (basata su libertà, uguaglianza e fraternità) e dice che, mentre le democrazie moderne hanno sviluppato i diritti di libertà e richiamato i doveri di uguaglianza, hanno trascurato del tutto la fraternità. La democrazia deve completarsi con la fraternità, la quale ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Altrimenti si ricadrebbe nell’individualismo: senza la fraternità, infatti, questi diritti e questi doveri provocherebbero una solitudine istituzionale. L’uguaglianza è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità e, solo così, può sfociare nella solidarietà. Lo stesso vale per la libertà.
Un tema caro alla dottrina sociale della chiesa è la “destinazione universale dei beni”, in rapporto con il concetto di proprietà. In latino proprium (esclusivo) è contrario di communis (di tutti). La stessa parola municipio viene dal latino munus accipere, cioè assumersi un compito o un impegno, come dono da elargire ai cittadini. Ma cosa aggiunge papa Francesco? In passato, a partire dall’enciclica sociale “Rerum Novarum”, la difesa della proprietà privata è stata quasi un assoluto: l’affermazione del diritto di ciascuno di avere qualcosa di suo, di proprio; nella proprietà, infatti, ciascuno avrebbe potuto realizzare se stesso. Ma già Leone XIII parla della funzione sociale della proprietà: il possesso delle cose non è mai esclusivo, non è mai soltanto per me, in qualche modo è per tutti.
Papa Francesco non mette al primo posto il diritto di proprietà, ma la “destinazione universale dei beni”. La terra è di tutti e il diritto alla proprietà privata rimane come esito di una giustizia distributiva (oltre che commutativa e legale), che dovrebbe sempre avere il primato nella vita sociale, realizzando in sede economica ciò che la fraternità costituisce in sede politica. Con la distribuzione a tutti si realizza la relazione fraterna, a tutti viene dato non in base a criteri quantitativi, ma in base ai bisogni del fratello. Antonio Rosmini distingue fra giustizia materiale e giustizia formale. La giustizia materiale è dare a tutti la stessa quantità. La giustizia formale è dare secondo i bisogni di ciascuno. Chi ha poco deve avere di più e chi ha molto non deve avere niente, così si realizza l’uguaglianza. Bisogna occuparsi della condizione reale del fratello, mettendo ciò che ci appartiene a disposizione degli altri. A questo è legata la tassazione graduale di cui parla la nostra costituzione. Il principio espresso da Giovanni XIII nella lettera enciclica “Mater et Magistra” è quello della “socializzazione degli utili”: il proprietario dell’azienda condivide gli utili con gli operai, di certo non perdendo la sua impresa. È il concetto di condivisione di ciò che è proprio e che si è guadagnato.