Don Antonio Rubino: Benvenuti! Porgo un caro saluto a tutti e vi ringrazio per aver accolto l’invito a partecipare a questo incontro inaugurale del Corso sul tema: “L’umanesimo europeo per la fraternità dei popoli”. L’Ufficio Cultura della Diocesi di Taranto, in continuità con le tematiche sviluppate negli anni scorsi, e nel solco dell’umanesimo plenario, tracciato da Paolo VI, come orizzonte culturale di sviluppo integrale dell’uomo e sviluppo solidale dell’umanità, promuove un II Corso di Formazione, sull’identità spirituale e sulla vocazione umanistica dell’Europa, come vocazione alla fraternità universale. Nei prossimi appuntamenti, che scandiranno il nostro itinerario, analizzeremo questi argomenti: “2. L’umanesimo planetario di Paolo VI”; 3. “Il nuovo umanesimo europeo di Francesco”; “4. Amicizia sociale e fraternità universale”; “5. La fraternità per umanizzare la democrazia”; “6. Globalizzazione economica e giustizia sociale”; “7. L’Unione Europea per una cultura della pace”.
Il nostro corso è una risposta a quanto ci ha chiesto il sinodo dei vescovi nella terza parte del documento conclusivo della prima sessione: promuovere una cultura della formazione permanente. Intendiamo riflettere sulla costituzione del nuovo umanesimo europeo, sognato da papa Francesco con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede. Il sogno del Papa, e nostro, di un nuovo umanesimo nasce dalla dolente constatazione di un’Europa, stanca e invecchiata, un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice. A fondamento di un nuovo umanesimo è necessaria la formazione di una rinnovata coscienza europea, la quale non può prescindere dall’elaborazione di un ethos comune, la cui elaborazione coincide con il processo di umanizzazione dei popoli, delle culture e delle religioni. Nel contesto europeo e mondiale, segnato da profonde ferite dell’umano e da diffuse situazioni di ingiustizia, si tratta di ispirare a quella cultura il progetto di un nuovo umanesimo politico, per una democrazia compiuta che, ai diritti di libertà e ai doveri di uguaglianza, aggiunga i sentimenti di fratellanza universale, riconoscendo, come ha affermato papa Francesco nel 2019, che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità.
Permettetemi di salutare S. E. l’Arcivescovo che ha gradito essere con noi in questo primo appuntamento e di ringraziarlo caramente. Saluto, anche, il prof. Lino Prenna, docente universitario, che da anni generosamente ci segue con la sua professionalità ed esperienza. A loro è affidata la riflessione del primo incontro, sul tema: “1. Fratelli tutti, senza frontiere: Francesco d’Assisi, fratello universale”. Ancora grazie a tutti!
Prof. Lino Prenna: Don Antonio, grazie e grazie anche delle gentili parole che hai voluto usare nei miei riguardi. Inizio anche io col salutare S. E. l’Arcivescovo e mi permetto di unire il mio benvenuto. Sono anche io figlio di questa terra e sono convinto che Vostra Eccellenza sia un dono per questa nostra terra ionica. Sono lieto che Vostra Eccellenza abbia accettato di condividere con noi l’inaugurazione di questo II Corso di Formazione.
Propongo la mia riflessione come introduzione al Corso. La continuità che indico è soprattutto in relazione alla fonte ispiratrice del Corso stesso, cioè papa Francesco, una fonte limpida, generosa, premurosa, che da dieci anni cerca di alimentare la nostra vita cristiana e civile, della Chiesa e del mondo. Il Corso si ispira al pensiero di papa Francesco, ma dicendo pensiero, rischierei di fare un torto al papa poiché il suo non è un pensiero, ma un magistero, un insegnamento, un ministero, la cui novità inedita è quella di tradurre in un ministero di carità e in una cura e premura pastorali il suo magistero; più che insegnare, il papa testimonia con la sua vita: è un maestro, ma soprattutto un testimone, grande dono al nostro tempo per la Chiesa e per il mondo.
Parto dall’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, grande manifesto di papa Francesco, datato 24 novembre 2013: noi oggi, a un anno esatto dalla pubblicazione del documento, e nel ricordare e rileggere alcuni passaggi dello stesso, vogliamo celebrare il ministero della parola che, in quell’ermeneutica della fede inedita proposta dal papa, è a noi consegnata. Il documento è firmato presso San Pietro nella Solennità di Cristo Re: domenica prossima ricorre tale solennità, che chiude l’anno liturgico, per cui mi permetto di suggerire a Vostra Eccellenza e a Don Antonio, che la celebrazione eucaristica sia l’occasione per ringraziare il santo padre di questo documento e di quello che dice e fa per noi.
Il passaggio interessante dell’“Evangelii Gaudium” è quello al numero 55, che porta il papa a dire che il disagio che noi viviamo, la crisi economica e finanziaria che il mondo attraversa ha all’origine una profonda crisi antropologica, cioè la negazione del primato dell’essere umano e l’aver sostituito a quest’ultimo quello del denaro, l’aver accettato pacificamente e con una rassegnazione incredibile il fatto che il denaro predomini nella nostra vita e nella nostra società, facendone quasi una regola. Se la crisi è antropologica, la risposta non può che essere un nuovo umanesimo. Il ricorso alla lunga e virtuosa tradizione umanistica e umanitaria dell’Europa è necessario. Dobbiamo pensare che questo passaggio d’epoca, drammatico e fiducioso, che viviamo, possa essere una transizione antropologica. Transizione, del latino transitus, vuol dire passaggio: siamo in una fase di passaggio che deve essere caratterizzata dal passaggio dall’io al noi, dall’individualismo, che divide, al personalismo, che condivide. Questo è il primo messaggio forte che voglio consegnarvi. La crisi antropologia può essere superata mettendo al centro il primato della persona e instaurando una transizione antropologica, che faccia da sfondo a tutti gli altri tipi di transizione che caratterizzano le nostre società (digitale, ecologica, etc. ).
L’umanesimo di cui parliamo è quello cristiano, anzi direi, riprendendo il titolo del V Convegno Ecclesiale della Chiesa Italiana di Firenze, del 10 novembre 2015, è l’umanesimo in Cristo Gesù. Il santo padre rivolge un accorato discorso nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, in cui emergono questi punti: 1.l’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come figlio di Dio, 2.stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, 3.insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura. Allora, passando dalla tradizione dell’umanesimo europeo, penso a Erasmo da Rotterdam e Pico della Mirandola, a un’accezione odierna di umanesimo, suggerisco questi tre elementi per capire che cosa il papa intende per umanesimo.
Nel ricevere il premio Carlo Magno del 2016, anno successivo al Convegno di Firenze, papa Francesco, in un discorso di cordiale affetto per l’Europa, e di preoccupazione per le condizioni in cui si trovava l’Europa, lancia l’idea di un nuovo umanesimo, la cui idea nasce in questo discorso. Il papa sogna un nuovo umanesimo europeo, partendo dalla constatazione di un’Europa stanca e indifferente, un’indifferenza che come una ragnatela si è rappresa sul volto dell’Europa di oggi, impedendo di vedere come quel volto sia stato costruito da una lunga storia di fraternità, di cultura, di arte, di letteratura. Cosa ti è successo Europa, tu che sei la patria di artisti, scrittori, autori? Richiama l’Europa a una nuova vita di cultura e di fede.
Il passaggio ulteriore è l’enciclica “Fratelli tutti”, alla quale arriva dopo aver proposto la centralità del popolo, già nell’“Evangelii Gaudium”. In tutta l’esortazione apostolica, “popolo” è il termine che ricorre più volte dopo la parola “Dio” che è in assoluto la più ricorrente. Inoltre, da marzo (mese di elezione di Bergoglio) a novembre (mese di promulgazione del testo), Papa Francesco non poteva sviluppare un pensiero così suggestivo e così complesso. Da una lettura di tutto ciò che Bergoglio (Provinciale dei Gesuiti, Vescovo, Arcivescovo e Cardinale) ha scritto in Argentina, questo testo emerge in quanto momento evolutivo del pensiero del Pontefice, nonché come trascrizione di intere pagine di discorsi di cose da lui dette come pastore della sua diocesi.
In un’intervista che papa Francesco rilascia alla stampa nell’agosto del 2019, al giornalista, Domenico Agasso, che gli chiede cosa pensi del popolarismo, il pontefice risponde che il popolarismo è la cultura del popolo. È un genitivo soggettivo e oggettivo, il popolo è soggetto e oggetto della cultura, il popolo è: il farsi della storia, un destino comune, un percorso che attraversa la storia e, come un fiume, porta con sé alla foce tutto ciò che trova nel suo letto. Questo popolo è l’attenzione e la premura centrale del santo padre. Il popolo dalla sua condizione naturale, elevato dalla grazia, può passare alla dimensione sovrannaturale, cioè la Chiesa, popolo di Dio, come ricorda uno dei capitoli della “Lumen Gentium”, seconda delle quattro costituzioni del concilio ecumenico Vaticano II (insieme a “Sacrosanctum Concilium”, “Dei verbum” e “Gaudium et spes”).
Allora che cosa è l’umanesimo? È la costruzione del popolo. Costruire il popolo è compito della politica. Il popolo lo si edifica e lo si eleva. Il popolarismo si distingue dal populismo. Il popolo si differenzia dalla massa: la dignità di popolo è propria del popolarismo, la condizione di massa caratterizza il populismo. Per elevare la massa allo statuto di popolo è necessario l’umanesimo, un nuovo umanesimo, promotore della fraternità dei popoli. Il popolarismo, non solo nell’accezione sturziana, ma in quella data dal papa, è il progetto di un nuovo umanesimo, sognato dal papa, per la fraternità dei popoli. Bergoglio ha elaborato a lungo questo pensiero, di certo non povero e privo di una solida cultura.
L’enciclica “Fratelli tutti”, terza enciclica del papa (dopo “Lumen fidei” e “Laudato si’”), è una esplicita e argomentata declinazione di questo umanesimo della fraternità. Il sottotitolo è “Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale”. L’introduzione, che comprende i primi otto numeri del testo, è tutta ispirata all’umanesimo senza frontiere di San Francesco d’Assisi, si dilunga a spiegare come San Francesco ha vissuto questa fraternità e, soprattutto, questo umanesimo della fraternità. D’altronde, il papa sin dall’inizio, ha voluto scegliere questo nome, già di per sé indicativo.
S. E. Mons. Ciro Miniero: Prof. Prenna, grazie della chiave di lettura che ci ha dato questa sera circa i tempi che viviamo, come questo passaggio ci sta in qualche modo spiazzando tutti quanti. Le nuove generazioni forse non riescono a percepire questo cambiamento in atto, ma il santo padre ce lo sta indicando in una maniera molto chiara. Evidentemente, come poc’anzi ha detto, è rilevante la sua esperienza di uomo di Chiesa e gesuita (non è da mettere in secondo piano la sua vocazione e il suo ministero vissuto nella Compagnia di Gesù), che gli ha permesso, certamente, di approfondire profondamente la vita del popolo e l’amore di Dio verso il popolo stesso. Mi permetto ancora, di ringraziare il Parroco e Vicario per la Cultura, don Antonio, che mi ha invitato, nel presentarmi il programma di quest’anno; io ho accettato volentieri di essere presente qui per iniziare insieme questo momento di formazione e di riflessione.
Ricordo di essere stato presente al Convegno Ecclesiale di Firenze e ricordo le parole del santo padre, sotto la cupola del Brunelleschi, con quell’immagine del Cristo risorto, dove emerge, con tutta la forza dell’arte, quel disegno mirabile avvenuto in quel tempo dell’umanesimo; accogliemmo con gioia tutte le delegazioni diocesane, ricordo, dicevo, le parole del santo padre con le quali rivelò, in maniera molto semplice, il suo modo di pensare la Chiesa e di come camminare insieme. Disse che era già presente un programma definito e che non si dovevano accavallare altri programmi a quello esistente. Forse fu uno scossone, ma il prosieguo del suo ministero e il cammino della Chiesa di questi anni ci stanno facendo capire che il santo padre non vuole vivere di tematiche e dare tematiche. Il santo padre vuole scuotere i nostri cuori, forse a volte appesantiti da questi tempi non semplici, per riportare la freschezza dell’annuncio del vangelo in una dimensione umana; perché il vangelo è fatto per gli uomini, non per alcuni, non è elitario, lo sappiamo, ma corriamo il rischio, in una società frammentata come la nostra, di rinchiuderci all’interno dei nostri recinti e di non riflettere sul fatto che il vangelo è forza sempre di una umanità nuova, che continuamente si rinnova: è il popolo fedele. Il popolo è fedele indipendentemente da ciò che facciamo noi, il popolo continua a essere fedele nonostante il fatto che tempi che passino, nonostante le crisi che vengono, però, dobbiamo ascoltare il grido di questo popolo e il grido della Terra, che è la casa comune e che non è tratta dignitosamente e rispettata.
“Fratelli tutti”, allora è l’enciclica sociale, che ha, però, sullo sfondo un personaggio, chiarissimo; il titolo, infatti, è mutuato dalle “Annotazioni” di San Francesco, che usava quelle parole per rivolgersi a tutti i fratelli e sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Il vangelo è vita fraterna, del resto l’ha fatto il Signore questo: per realizzare il progetto di amore di Dio, si è fatto nostro fratello. Non è un discorso, è l’azione e il progetto di amore di Dio, il piano della salvezza, ciò che Dio ha pensato da sempre. Davanti alla frantumazione della fraternità, cioè il peccato originale di Adamo ed Eva, davanti alla dissociazione dell’uomo e dell’umanità, ecco che Dio propone un progetto di amore e ci chiede di vivere da fratelli e sorelle.
San Francesco lo intuisce questo, è un giovane scapestrato, diremmo oggi, un giovane del sabato sera, che fa le ore piccole, ci sembra strano vederlo così, ma del resto sappiamo che era così. È un giovane che ha i soldi e li vuole spendere, non li ha guadagnati lui, perché frutto del lavoro dei genitori, ma vuole godersela e così fa. Tuttavia, si rende conto che non può essere questa la vita e se ne rende conto quando va in guerra: tutto cambia, gli altri non lo comprendono, né gli amici più cari né la sua famiglia. Ma lui continua quel progetto d’amore, dopo tutta la fase di shock, dovuta alla guerra, ma soprattutto al cambiamento interiore che avverte bussare prepotentemente al suo cuore, egli risponde andando a servire i poveri; lui, che non era povero e che non faceva parte di organismi di beneficenza del tempo, agisce così, baciando il lebbroso, una cosa che potremmo giudicare ripugnante solo all’idea, ma che non spaventa San Francesco. Egli trasforma i giovani intorno a lui, amici di brigata, in legionari, persone che con lui faranno ogni sacrificio per rendere possibile quello che il per il Signore è stato il suo progetto di amore, quindi realizza una fraternità universale.
I francescani ancora oggi sono il gruppo di consacrati più numeroso, in ogni angolo del mondo, con tanti ordini (primo, secondo, terzo, regolare, clarisse, fino al più recente delle cappuccine), tutto questo perché hanno portato con sé l’ideale della fraternità. È possibile essere fratelli? Sì, dice San Francesco, nonostante l’abbiano messo alla porta al Capitolo delle Stuoie, continua fino alla fine, fino ad avere il placet di Dio nel suo corpo, le stimmate: è questo il sì di Dio all’azione intrapresa da Francesco. Come avrebbe detto San Paolo, è stato configurato in tutto a Cristo, finanche nell’esperienza piena della croce. E allora, ecco, il papa, sulla tomba di San Francesco, firma “Fratelli tutti”. Già il suo nome, Francesco (è il primo papa che si chiama Francesco), già il nome la dice tutta. Si tratta di un amore universale, orientato a Dio, per cui Dio è tutto nella vita. Ma, allo stesso tempo e allo stesso modo, l’umanità che Dio ha abbracciato, come le due braccia dello stemma francescano, quest’ultima diventa, credo, l’elemento centrale dello stile di un papa gesuita.
Gli scherzi della storia: un papa di nome Francesco che sceglie però con il metodo gesuita, ignaziano, di Sant’Ignazio di Loyola, che non ha abbandonato, ad esempio i tre punti e il discernimento, che fanno parte della ricchezza che ci ha lasciato questo santo. Dunque, è un pontefice che mette insieme immediatezza e prontezza del poverello di Assisi e riflessione, attenzione, discernimento della volontà di Dio, in maniera a volte molto complessa, per lasciarsi illuminare e per illuminare il mondo. Che cosa ci dice riguardo all’esperienza di San Francesco la “Fratelli tutti”? L’enciclica mira a promuovere un’aspirazione mondiale alla fraternità e all’amicizia sociale. A partire dalla comune appartenenza alla famiglia umana, dal riconoscerci fratelli perché figli di un unico creatore, tutti sulla stessa barca e dunque bisognosi di prendere coscienza che in un mondo globalizzato e interconnesso ci si può salvare solo insieme. Motivo ispiratore, più volte citato, è il Documento sulla fratellanza umana firmato da Francesco e dal grande Imam di Al-Azhar nel febbraio 2019.
È un progetto che viene dal lontano e, come san Francesco ha incontrato il mondo arabo, così il santo padre incontra il mondo arabo; i passi sono gli stessi del poverello di Assisi, che il santo padre continua a percorrere, per dimostrare che la fraternità è possibile. Infatti, il papa è apprezzato dai fratelli mussulmani ed ebrei, perché dobbiamo cercare ciò che ci unisce, espressione famosa di Giovanni XXIII, e ciò che ci unisce è il desiderio di una umanità riconciliata e non scossa della guerre. In un mondo che vive la terza guerra mondiale fatta a pezzi, tutti devono fare uno sforzo interiore perché ci si ritrovi fratelli e sorelle, perché stiamo sulla stessa barca. E l’esperienza del papa, come Provinciale dei Gesuiti e Vescovo della sua diocesi in Argentina, emerge chiaramente: qui leggiamo “Medellín” e “Puebla”, tutti i documenti dell’America Latina. Non è un pensiero che nasce improvvisamente.
Come anche l’esperienza di celebrare il sinodo, nelle modalità da lui indicate, che ci ha lasciato tutti un po’ perplessi, perché non eravamo abituati a vivere il sinodo in questo modo. Quest’ultimo, pur restando dei vescovi, è fatto da tutti: ecco il popolo, il popolo fedele, perché tutti ci stiamo nel popolo, ciascuno con la propria responsabilità. La fraternità è da promuovere non solo a parole, ma nei fatti, andando fisicamente dal sultano, per esempio. Fatti che si concretizzano nella politica migliore, quella non sottomessa agli interessi della finanza, ma al servizio del bene comune, in grado di porre al centro la dignità di ogni essere umano e di assicurare il lavoro a tutti, affinché ciascuno possa sviluppare le proprie capacità.
San Francesco bacia il lebbroso, comunica con dei segni, capaci di esprimere la sua vita e la sua idea, il suo cuore, e quindi in questa universalità, non possiamo fare a meno di condannare ciò che ci divide. Non si può essere fratelli e continuare a pensare che è meglio riempire gli arsenali, erigere muori, alzare filo spinato. La fraternità oggi, paradossalmente, è ciò che determinerà il nostro futuro, perché non possiamo chiudere gli occhi davanti ai diritti dei popoli, perché il grido ciascuno di poter vivere una vita dignitosa non deve schiacciare i diritti di un altro. Da qui nascono le guerre a cui assistiamo, piccole o grandi, anche quelle all’interno di un nucleo familiare come quelle tra i popoli. Quindi, il santo padre condanna la guerra, negazione di tutti i diritti e non più pensabile neanche in una ipotetica forma giusta, perché ormai le armi nucleari, chimiche e biologiche hanno ricadute enormi sui civili innocenti. Forte anche il rifiuto della pena di morte, definita inammissibile, e centrale il richiamo al perdono, connesso al concetto di memoria e di giustizia.
Questi pensieri muovo il santo padre e la lettera si sviluppa, aiutandoci a entrare nelle questioni degli uomini, recuperando tutte le sue riflessioni fino a questo momento. Ogni pensiero del papa, in ogni momento, è semplice, ma richiede uno sforzo personale per essere accolti, perché non tocca la mente, ma la vita di ciascuno di noi. Lui interpella la Chiesa, come a dire che dobbiamo imitare gli esempi che abbiamo ricevuto. L’enciclica si conclude con il ricordo di Martin Luther King, protestante, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi, indù, e soprattutto il Santo Charles de Foucauld, allora ancora Beato, un modello per tutti di cosa significhi identificarsi con gli ultimi per divenire il fratello universale. La lettera è per tutti e vuole spronarci a risvegliarci e a muoverci in una direzione già indicata dal Signore: andare in tutto il mondo, siamo figli dello stesso padre che è nei cieli e, quando ci insegna il padre nostro, ci chiede di dire per l’appunto “padre nostro”, il che sottolinea il fatto di essere fratelli. La lettera abbraccia tutta la complessità della vita umana, sociale, economica e del rapporto tra i popoli. È una gemma perché possiamo tutti gioire della bellezza della fraternità.