Il tema di questo incontro è: “Le religioni per la fraternità universale”.
Relazione di Raffaella Carenza. Nel contesto della pandemia che abbiamo vissuto
in questi anni, che ha messo in luce non solo i problemi della salute dei popoli,
dell’ecologia integrale, ossia dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento, della
distruzione della biodiversità, delle migrazioni ingenti di animali e di persone, ma anche i
problemi connessi ad una cultura consumistica e dello scarto, delle ineguaglianze, delle
ingiustizie, della fame, del deficit della politica, dello scisma tra singolo e comunità, papa
Francesco promulga l’enciclica Fratelli tutti, firmandola ad Assisi il 3 ottobre 2020, ai
piedi della tomba del Santo dell’amore fraterno, della semplicità e della gioia. Il titolo
Fratelli tutti è preso in prestito dalle Ammonizioni dello stesso Francesco d’Assisi. Con
questa espressione S. Francesco si rivolgeva a tutti i fratelli e le sorelle per proporre loro
una forma di vita dal sapore di Vangelo. La fratellanza è stata il primo tema al quale
Papa Francesco ha fatto riferimento dando inizio al suo Pontificato. Il Papa, seguendo la
sua fonte ispiratrice, Francesco di Assisi, è diventato anche un uomo universale,
accogliendo tutti e identificandosi con i più vulnerabili e invisibili del nostro mondo
spesso indifferente e senza umanità. La fraternità e l’amicizia sociale sono considerate le
vie per costruire un mondo migliore, più giusto e pacifico, con l’impegno di tutti: popolo
e istituzioni. S. Francesco, scrive il Papa, “ non faceva la guerra dialettica imponendo
dottrine, ma comunicava l’amore di Dio ed è stato un padre fecondo che ha suscitato il
sogno di una società fraterna ”. La nuova Enciclica “ Fratelli tutti “, è molto ricca dal
punto di vista umano ed etico, piena di inviti a tutte le persone di buona volontà, sia
religiose che politiche. In questo documento possiamo notare una grande apertura al
dialogo, alla pace e all’amore verso le altre religioni, perché Dio è creatore e Padre di
tutti. Il Papa pertanto invita tutti i popoli affinché rispettino e amino tutte le persone
come fratelli e sorelle, perché fanno parte della stessa umanità creata dallo stesso Dio.
L’Enciclica, quindi, mira a promuovere un’aspirazione mondiale alla fraternità e
all’amicizia sociale. A partire dalla comune appartenenza alla famiglia umana, dal
riconoscersi fratelli perché figli di un unico Creatore, tutti sulla stessa barca e dunque
bisognosi di prendere coscienza che in un mondo globalizzato e interconnesso ci si può
salvare solo insieme. Il Papa ribadisce con forza il suo no alla guerra, perché nessuna
opera sarà possibile se le nazioni e i popoli continuano a combattersi. Con il capitolo
ottavo, papa Francesco porta a compimento la sua enciclica sulla fraternità universale. Il
capitolo è imperniato sull’apporto delle religioni in quanto tali alla fraternità universale.
In questa mia relazione, ho analizzato i punti nn.281/284 dell’Enciclica, i quali pongono
l’attenzione sul rapporto che intercorre fra le religioni e la violenza. Il Papa sottolinea
l’importanza di un “cammino di pace tra le religioni”. Dopo secoli in cui le altre
confessioni cristiane sono state tacciate di eresia e le altre religioni sono state
condannate come espressioni di popoli pagani, da convertire e portare nella chiesa, oggi
i cristiani, in particolare i cattolici, sono chiamati dal Papa a collaborare con i credenti di
altre religioni per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia in ogni
società e nel mondo intero. Tale collaborazione s’impone con urgenza in questo nuovo
millennio. Nel tempo presente in molte parti del mondo si privano gli uomini della loro
libertà di coscienza e di religione e si soffrono le conseguenze di terrorismo, guerre locali
sanguinarie, elevazione di rinnovati steccati di carattere politico ed economico, con la
creazione di zone d’influenza o di occupazione da parte di alcune potenze. Come
collaborare? Da dove partire? Con quale spirito? Il Papa risponde offrendo un metodo
valido per qualunque tipo di collaborazione. Questo metodo è il dialogo. L’essenza del
dialogo consiste nell’ “avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a
comprendersi, cercare i punti di contatto”. Il dialogo richiede però da parte di ogni
interlocutore una previa “ricerca dei fondamenti più solidi che stanno alla base delle
nostre scelte e delle nostre leggi”, e quindi anche della propria personale fede o religione
di appartenenza. Questo significa che ogni dialogante ha la necessità di tenere ben
chiara davanti a sé la propria identità religiosa, culturale, la propria storia esistenziale,
che gli dà possibilità di non avere paura dell’altro né di sentirsi privato dell’esclusività di
quei beni, verità e valori che condivide con l’altro dialogante. Le diverse religioni e le
confessioni cristiane sono incitate allora a percorrere insieme un cammino di pace,
guardando il tutto con lo sguardo di Dio, che dall’alto vede ogni uomo come proprio
figlio, senza alcuna distinzione di religione. E il papa le sollecita a dialogare e agire
unitamente per il bene comune e la promozione dei più poveri, ad impegnarsi per il
benessere di tutti, a collaborare partendo dai valori comuni e lavorare armonicamente
per la pace. Per il Papa, inoltre, la religione non può andare d’accordo con la violenza,
anzi, la combatte perché Dio non parteggia per nessuno ma è vicino ad ogni persona, ad
ogni popolo. Quindi la violenza non può trovare appiglio nelle convinzioni religiose bensì
nelle sue deformazioni. La religione si unisce alla violenza quando si lascia afferrare da
un parassita che è l’ideologia. Questo è molto evidente se guardiamo all’estremismo
islamista ma anche se consideriamo la storia della Chiesa. Pensiamo alle guerre di
religione, anche all’interno di una stessa confessione di fede, come quella cristiana,
avvenute nel nostro occidente che si vanta di avere radici cristiane. Il Papa, condanna
con forza il terrorismo sottolineando che non debba essere assolutamente sostenuto
con il denaro, né con le armi perché è un crimine internazionale contro la sicurezza e la
pace mondiale. Il Papa invita anche i leader religiosi ad essere veri dialoganti per poter
agire nella costruzione della pace non come intermediari ma come autentici mediatori.
Papa Francesco, infine, evidenzia l’importanza del rispetto verso la sacralità della vita,
la dignità e la libertà degli altri ad impegnarsi con amore per il benessere di tutti e per la
pace tra i popoli, affinché si possa edificare una vera fraternità universale e un’autentica
amicizia sociale.
Relazione di Stefania Labbruzzo. Proseguo con alcune riflessioni che prendono
spunto dai paragrafi 285,286 e 287 dell’enciclica Fratelli Tutti (sul tema della fraternità e
dell’amicizia sociale), terza enciclica di Papa Francesco, scritta nel suo ottavo anno di
pontificato, il 2020. I paragrafi 285,286 e 287 dell’enciclica sono raccolti sotto il titolo
“Appello”, a indicare la chiara volontà del Papa di rivolgersi a tutti con una chiara
richiesta: adottare la via del dialogo interreligioso e promuovere la pace. Già nel 1965,
con la dichiarazione “Nostra Aetate”, la Chiesa cattolica si è posta il problema del suo
rapporto con le altre religioni non cristiane; nell’incontro interreligioso del 27 ottobre
1986, ad Assisi, promosso da Papa Giovanni Paolo II, tutti i rappresentanti delle Chiese
cristiane e molti rappresentanti di altre religioni si sono riuniti e hanno pregato per la
pace, promuovendo il cosiddetto “Spirito di Assisi”. L’incontro di Papa Francesco con il
Grande Imam di Al-Azhar Ahmed Al-Tayyeb ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, per la
firma del “Documento sulla fratellanza umana” si inserisce sulla stessa linea d’onda;
nonostante il clima segnato da attentati e conflitti, il Papa è stato accolto con gioia nel
cuore della Penisola Arabica e ha avuto modo di promuovere, insieme con il Grande
Imam la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace. Come si ricorda al punto
285: “le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio,
ostilità, estremismo (…), violenza o spargimento di sangue”. Dio è Onnipotente e non ha
bisogno di essere difeso da nessuno. L’estremismo è frutto della “deviazione degli
insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e delle interpretazioni di quanti (…)
hanno abusato dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini”. Parole forti
che chiunque dovrebbe imprimere nella propria mente. Dio non vuole la guerra, Dio
vuole la pace. Dio è amore, deus caritas est. L’amore non può volere la guerra. L’amore
ricerca il bene e la felicità dei fratelli. Credo sia doveroso leggere il testo integrale
dell’appello fatto dal Papa e dal Grande Imam, che lo stesso Papa Francesco riporta
nell’enciclica Fratelli Tutti: «In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei
diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per
popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace. In nome
dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque
uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è
come se avesse salvato l’umanità intera. In nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e
degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli
uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e benestante. In nome degli orfani,
delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro paesi; di tutte le
vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono
nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza
distinzione alcuna. In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune
convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre. In nome
della fratellanza umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali. In nome
di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di
guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i
destini degli uomini. In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani,
creandoli liberi e distinguendoli con essa. In nome della giustizia e della misericordia,
fondamenti della prosperità e cardini della fede. In nome di tutte le persone di buona
volontà, presenti in ogni angolo della terra. In nome di Dio e di tutto questo, […]
[dichiariamo] di adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune
come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio» Dialogo,
collaborazione e conoscenza: tre parole fondamentali per comprendere la prospettiva
del Papa. Il dialogo è confronto di idee, opinioni e programmi al fine di raggiungere
un’intesa, è capacità di comunicazione, comprensione, apertura all’altro. La
collaborazione è una relazione sinergica tra due o più entità ed implica il sostegno,
l’assistenza e l’aiuto reciproci. La conoscenza dell’altro implica un processo dinamico e
mai compiuto, un cammino da compiere incessantemente insieme, liberi da ogni forma
di pregiudizi, per aprirci ai fratelli che abbiamo accanto e fare tesoro della loro
esperienza personale. Ecco perché il Papa afferma che il dialogo è la via, la
collaborazione è la condotta e la conoscenza reciproca è il metodo e il criterio per
promuovere la pace, la giustizia e la fraternità. La pace è armonia, assenza di tensioni,
concordia, dal latino pax-pacis e dalla stessa radice di pangere (pattuire) e pactum
(patto). La giustizia è la volontà di dare al prossimo quanto gli è dovuto, nonché di
rispettare i diritti degli altri. La fraternità è amicizia sociale, affetto, solidarietà,
comunanza di ideali e accordo fraterno. Il Papa cita come guide e modelli rispetto alla
tematica della fraternità universale: San Francesco d’Assisi, Martin Luther King,
Desmond Tutu, Mahatma Gandhi e Charles de Foucauld. Francesco d’Assisi, che sin dal
1200, ha considerato la fratellanza come cardine della vita di tutti gli uomini. Gli uomini
sono fratelli tra loro e fratelli con Cristo, nonché fratelli con il creato, ecco perché il santo
amava firmarsi come frater Franciscus. Martin Luther King, che ha scritto “I have a
dream”, affermando: “io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno
in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la
loro persona contiene”. Chiari i riferimenti di Martin Luther King ad alcuni Salmi, a dei
versetti di Isaia e di Amos: “ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata”.
Desmond Tutu, arcivescovo sudafricano e oppositore dell’apartheid, che ha ricevuto il
premio Nobel per la Pace in quanto “figura unificante nella campagna per risolvere il
problema dell’apartheid in Sudafrica”, come riporta la giustificazione ufficiale data dal
comitato del Nobel. Mahatma Gandhi che ha predicato l’amicizia fraterna tra tutti gli
esseri umani, mussulmani e indù, uomini e donne, paria e brahmini. Charles de Foucauld
che ha compiuto un lungo cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti,
come ricorda il Papa stesso nell’enciclica. Il santo voleva essere il “fratello universale”,
voleva sentire qualunque essere umano come un fratello. Le ultime righe del documento
sono affidate a due preghiere: una al “Creatore” e l’altra “cristiana ecumenica”, affinché nel cuore degli uomini alberghi “uno spirito di fratelli”. L’enciclica si presenta, dunque, come un manifesto per i nostri tempi; con l’intento di “far rinascere un’aspirazione mondiale alla fraternità”.
Oggi parleremo della difficoltà di coniugare fede e democrazia. C’è una
irriducibilità sostanziale tra i due sistemi, perché la fede è basata sulla verità, aletheia,
la democrazia è basata sull’opinione, doxa. La religione può fare da mediatore tra la
fede e la democrazia. La fides quae è l’insieme delle verità credute, diversa dalla fides
qua è l’atteggiamento soggettivo rispetto a tali verità. Questa duplice dimensione della
fede, oggettiva e soggettiva, storicamente è affidata alla religione. La religione è un
insieme di strumenti che permettono di vivere secondo la fede creduta. La fede è un
assoluto irriducibile; la religione è un relativo riducibile. Assolutizzando la religione, ne
facciamo uno strumento di violenza. Ecco l’origine del terrorismo religioso. La religione
è il mezzo con cui la fede è incarnata nella vita politica di ogni paese. Il digiuno fa parte
della religione, non è verità di fede. Che la Chiesa abbia una struttura è una risposta
storica: la verità di fede è che la comunità deve riunirsi, il modo in cui tale verità si
realizza è lo strumento offerto ai fedeli, quindi la chiesa, gli edifici, le basiliche, le
cattedrali. La messa domenicale è un precetto della chiesa, cioè uno strumento dato ai
fedeli per vivere la propria fede. La religione è un codice di segni che rendono visibile
una realtà invisibile, tutto nell’universo è segno. Se si assolutizza il concetto di religione,
si ricade nella violenza. La violenza è una deviazione della religione. La religione è
mediazione tra fede e storia.
Nessuna religione è violenta nella sua essenza. La religione è un insieme di
strumenti, volti a raggiungere il fine della fede. Anche la religione cristiana non è stata
esente da questa deviazione, le crociate ne sono un esempio. Anche nell’India attuale ci
sono problemi e violenze causati da deviazioni della religione. La finalità del dialogo è
perseguire un fine comune e conoscere meglio l’altro. Il pregiudizio nasce
dall’ignoranza, che deve essere rimossa per dialogare. L’interculturalità è confronto e
arricchimento tra due culture.
La fede non è la religione. La testimonianza e la mediazione sono fondamentali.
Solo così si può non perdere la propria identità e trovare la fraternità universale. Io ho
la mia identità e dialogo con le altre religioni. Il dialogo nasce da un’esperienza e non si
inventa. Se io sono cristiano e conosco la mia identità, allora non posso che dialogare
con gli altri, per promuovere confronto e arricchimento.