“La fraternità, per costruire la democrazia”

martedì 13 maggio 18.00-19.30

Il tema di questa sera è: “La fraternità, per costruire la democrazia”. Di questo titolo, il verbo costruire è fondamentale. La democrazia è un progetto incompiuto e rinvia a un’espressione cara a Bergoglio, cioè “costruire il popolo”, popolo che è volto umano della città e soggetto di legittimazione della democrazia. Per altro, in riferimento alla nostra costituzione, il popolo è la sede originaria del potere e la democrazia è il governo del popolo. Quindi parliamo di costruire un popolo, cioè “costruire una storia”. Del titolo è anche fondamentale il concetto di fraternità. Voglio ricordare un’espressione indicativa della lettera di Bergoglio al presidente della Pontificia Accademia per la vita del 2019: “Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità”. La modernità è il passaggio dalla razionalità filosofica a quella scientifica, dal primato del pensiero metafisico a quello del pensiero debole (come dirà Vattimo sulla scorta di Heidegger), cioè il passaggio a una stagione  nella quale la gerarchia tradizionale degli oggetti di studio (Dio, uomo, natura) si inverte (natura, uomo, Dio); è la visione aristotelica, tomistica e paolina, dal visibile si sale all’invisibile. Anche il testo “La fine della modernità” di Romano Guardini parla di modernità. La modernità dal punto di vista politico è inaugurata dalla Rivoluzione Francese, che anticipa ciò che sarà la Rivoluzione industriale. E poiché la democrazia è la forma politica della modernità, è chiaro perché la democrazia è un tipico prodotto dell’era moderna. Cioè quell’era che ha contrapposto la civitas alla poleis; per molto tempo la città  (e la cittadinanza)  si identificava con la comunità politica (e i luoghi di governo della città); presto però questa identificazione si è scomposta e la società civile ha rivendicato una titolarità politica nel confronti della comunità politica stessa. La democrazia ha il compito di saldare la civitas con la poleis. La forza dell’espressione di papa Francesco allora è chiara.

La Rivoluzione francese aveva proposto il trinomio: libertà, uguaglianza e fraternità. La constatazione che ne consegue è che, se si è sviluppata molto la libertà e in parte anche l’uguaglianza, è stata del tutto trascurata la fraternità. È una promessa mancata perché la fraternità non è arrivata. La crisi ella democrazia, per la mancata realizzazione della fraternità del popolo, è dovuta al fatto che la libertà (i diritti di libertà) ha prevalso sull’uguaglianza (i doveri di uguaglianza).  La stagione dei doveri, ricercata anche da Aldo Moro, fa fatica a svilupparsi.

Con questa prospettiva, Francesco, nella lettera enciclica “Fratelli tutti”, nel capitolo terzo “Pensare e generare un mondo aperto”, affronta il tema della fraternità. Il paragrafo 103 introduce ai temi della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità: 103. La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. La fraternità non è solo integrativa della libertà e dell’uguaglianza, ma propulsiva e promotrice: 104. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che “tutti gli esseri umani sono uguali”, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. Papa Francesco per descrivere la fraternità propone la parabola del Buon Samaritano. Quelli che passano e che vanno oltre, gli uomini di chiesa, pensano al loro ruolo istituzionale, che li sottrae da un servizio doveroso. Il samaritano, che era uno straniero se non un pagano, cambia il suo percorso e si ferma e cerca di lenire le ferite dell’uomo, portandolo in ospedale e chiedendo di curarlo, dicendo che poi avrebbe pagato lui. Così è facile capire che cosa è la fraternità.

Il passaggio successivo ci fa comprendere il valore della solidarietà: 114. virtù morale e atteggiamento sociale, frutto della conversione personale. La migliore definizione di solidarietà è presente nella lettera enciclica “Sollicitudo rei socialis” di Papa Giovanni Paolo II: 38. non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Questa definizione lega la solidarietà all’impegno per il bene comune, che è ciò che mi unisce all’altro. Il bene comune, che è il bene di ogni persona inserita nella società (il singolo), non è il bene pubblico, che è il bene della società presa nell’insieme (la maggioranza), come afferma Rosmini. Siamo tutti responsabili di tutti.

Gli altri due concetti sono quelli della funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni. Con Papa Leone XIII e la “Rerum Novarum” si afferma il principio di proprietà. Lo stesso tema è affrontato diversamente da Papa Francesco, perché Leone XIII sottolinea il diritto alla proprietà, Papa Francesco, invece, sottolinea la destinazione universale dei beni. Si tratta di un argomento attuale, di fronte alla disuguaglianza evidente rispetto alla proprietà. La destinazione comune dei beni legittima la funzione sociale della proprietà. 118. Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza e tante altre non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti. Di conseguenza, come comunità siamo tenuti a garantire che ogni persona viva con dignità e abbia opportunità adeguate al suo sviluppo integrale. 119. Nei primi secoli della fede cristiana, diversi sapienti hanno sviluppato un senso universale nella loro riflessione sulla destinazione comune dei beni creati. Ciò conduceva a pensare che, se qualcuno non ha il necessario per vivere con dignità, è perché un altro se ne sta appropriando. Lo riassume San Giovanni Crisostomo dicendo che «non dare ai poveri parte dei propri beni è rubare ai poveri, è privarli della loro stessa vita; e quanto possediamo non è nostro, ma loro». Come pure queste parole di San Gregorio Magno: «Quando distribuiamo agli indigenti qualunque cosa, non elargiamo roba nostra ma restituiamo loro ciò che ad essi appartiene».

120. Di nuovo faccio mie e propongo a tutti alcune parole di San Giovanni Paolo II, la cui forza non è stata forse compresa: «Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno». In questa linea ricordo che «la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata». Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il «primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale», è un diritto naturale, originario e prioritario. Tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro, «non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione», come affermava San Paolo VI. Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica. L’affermazione di Leone XIII è perentoria sulla proprietà privata. Ma Papa Francesco afferma che il diritto alla proprietà privata non è assoluto. Il magistero sociale della Chiesa si sviluppa e il diritto alla proprietà passa dall’essere un diritto primario a essere un diritto secondario. È di primaria importanza, invece, la destinazione comune dei beni.