“I cristiani e il potere politico”

martedì 22 aprile 18.00-19.30

Il tema di questa sera è:“I cristiani e il potere politico”. Il tema non è semplice, è un’ardua coniugazione. Il cristianesimo è compatibile con il pensiero politico? San Paolo, riprendendo il concetto di kenosis (umiliazione e abbassamento), dice che Gesù si è umiliato e si è fatto “nulla”. Una religione della kenosis è una religione dell’umiltà. Una religione dell’umiltà è compatibile con il pensiero politico? Un testo utile a sciogliere questa questione è il passo evangelico del tributo a Cesare. La pagina del Vangelo in cui Gesù scioglie il conflitto tra il potere politico e quello religioso è fondamentale. È doveroso chiedersi se tra questi due poteri, rappresentati da Cesare e da Dio, ci sia compatibilità o meno. La provocazione che viene mossa a Gesù è portatrice di un problema di coscienza: è lecito pagare il tributo a Cesare (che consisteva in un denaro d’argento con l’effige dell’imperatore)? Un popolo con una sua religione, ma dominato da un potere straniero e pagano, come può conciliare il pagamento del tributo a Cesare con la propria religione? Il tributo comporta il riconoscimento dell’autorità assoluta e divina di Cesare. Pur consapevole di questo problema di coscienza, Gesù risponde a quanti vogliono tendergli un tranello. Presso gli uomini della legge, che presiedono alla vita religiosa del popolo, ci sono varie posizioni: i sadducei pensano che sia opportuno pagare il tributo a Cesare anche escludendo, per lo meno in cuor proprio, l’autorità assoluta dell’imperatore; gli zeloti sono intransigenti e ritengono incompatibile l’autorità suprema di Dio con quella di Cesare; i farisei sono gli uomini del compromesso e accettano per opportunismo che si paghi il tributo a Cesare. Gesù dice di rendere a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Chi vuole trarre in inganno Gesù pensa che una risposta affermativa di Gesù genererebbe odio presso il popolo, perché la gente aspetta un messia politico e il pagamento sconfesserebbe l’attesa del messia politico e riconoscerebbe l’autorità straniera dell’imperatore; quanti interrogano Gesù sanno anche che una sua risposta negativa lo farebbe passare per rivoluzionario e sobillatore del popolo. In ogni caso la risposta è difficile, ma Gesù spiazza chi lo provoca e quanti sono davanti a lui. Gesù dice che non si tratta di mettere in alternativa Dio e Cesare e che il potere politico non può sostituire quello religioso, ma a ciascuno va dato il suo: ci sono i diritti di Dio e quelli di Cesare.

Da questa risposta è possibile trarre delle indicazioni. Gesù enuncia un precetto dalla portata universale, che attraversa il tempo e giunge sino a noi. Cosa vuol dire questo oggi? Gesù non intende legittimare un potere arbitrario (Roma d’altronde aveva occupato la Palestina). Il potere politico, come tale, ha una sua legittimazione. Ogni potere viene da Dio, come dice San Paolo.  Non la forma o la tipologia di potere, ma il potere in quanto tale e di per sé è legittimo. I diritti di tale potere però sono limitati e non assoluti, perché ci sono anche i diritti di Dio. Gesù non mette sullo stesso piano Dio e Cesare, ma le attività politiche e quelle religiose. Entrambe le attività hanno pari dignità perché sono per prima cosa umane.  La fede è l’assoluto che viene tradotto nel relativo delle forme espressive della religione. Le attività religiose sono tanto relative quanto le attività politiche. Entrambe sono legate alla cultura. La cultura di Gesù è quella del Mediterraneo: il pane, il vino, i colori, etc. La celebrazione della fede, nelle forme espressive della religione, è legata alla cultura. I missionari calano il principio assoluto della fede nella relatività delle culture. È la cosiddetta inculturazione della fede. Le attività religiose hanno la stessa dignità di quelle politiche e viceversa. Il potere non è diabolico, la parola ‘potere’ viene dal latino e vuol dire avere la possibilità di usare dei mezzi per raggiungere un fine. La politica, infatti, si deve adoperare per usare dei mezzi per raggiungere un fine che corrisponde al bene di tutti.

Nel mettere le due attività l’una accanto all’altra, in realtà Gesù non indica una separazione, ma una distinzione. Il corpo umano è un’unità di organi non separati, ma distinti.  Analogamente, religione e politica non sono separate, ma distinte. Da questa distinzione nasce la laicità. Essa riconosce che i due poteri sono compatibili, anche se distinti. L’articolo VII della Costituzione dice che la Chiesa e lo Stato sono indipendenti e sovrani ed enuncia, dunque, il principio di laicità, che non va confuso né con il laicismo né il clericalismo. Il laicismo è la negazione di Dio nella vita umana. Il clericalismo è la negazione dell’umano nella vita ecclesiale, è l’assolutizzazione della religione (non della fede). Papa Francesco è solito ricordare che molti si dichiarano cattolici, ma si dimenticano di essere umani.

Dal Capitolo IV della II parte della Costituzione “Gaudium et Spes”: 76. La comunità politica e la Chiesa. È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori. La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana. È una duplice modalità di agire del cristiano, che ha non fa politica in nome della religione né viceversa. Anche Giuseppe Lazzati ha distinto l’azione cattolica dell’azione politica. Non si fa politica in quanto cattolici, semmai ispirati in nome del cattolicesimo.

Le scorse volte, parlando del Giubileo, abbiamo parlato della remissione dei debiti e del riposo della terra. Oggi, dobbiamo parlare del tema della liberazione degli schiavi. Il Levitico dice:  E santificherete il cinquantesimo anno, e proclamerete l’affrancamento nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà, e ognuno di voi tornerà nella sua famiglia (Lv 25, 10).  Nel mondo antico, chi aveva contratto un debito e non era in grado di restituirlo, diventava schiavo del creditore e doveva risarcirlo con il proprio lavoro o con il prezzo della vendita ad altri. Era una condizione che diventava permanente per il creditore e per lo schiavo. Il Giubileo permetteva di riportare in libertà gli schiavi. Il sistema della schiavitù era il sistema produttivo di un paese, perché il lavoro era fatto solo dagli schiavi. Il cristianesimo, solo con San Benedetto, riuscirà a riscattare l’importanza del lavoro, mettendo sullo stesso piano preghiera e lavoro. L’anno giubilare chiudeva il sistema di schiavitù. Nel messaggio pasquale di Papa Francesco, durante l’anno giubilare, si legge l’invito a liberare i prigionieri di guerra e i detenuti politici. La schiavitù non è solo fisica: molte schiavitù sono state create nel nostro tempo e continuano a vincolarci di giorno in giorno.

Nel 1971, Paolo VI ha scritto la lettera Octogesima Adveniens, a ottant’anni dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Il testo, in un tempo caratterizzato dall’unità politica dei cattolici, con obbligo morale di votare Democrazia Cristiana, afferma che un’unica fede può anche dare vita a diverse scelte politiche. Tuttavia, c’è un criterio: si deve valutare se la scelta del partito che si fa è compatibile con il Vangelo. Ognuno di noi  deve valutare se i valori dei partiti sono compatibili o meno con i Vangelo. Infine, esiste un criterio etico/morale che è sempre valido: la scelta del male minore. La fine dell’unità politica dei cattolici è stata un’opportunità per responsabilizzare ciascuno cristiano. Oggi la condizione è migliore dal punto di vita dell’unità di coscienza e della consapevolezza. Il cristiano viene responsabilizzato perché ha facoltà di scelta.