Il tema di questo incontro è: “Pietà popolare e formazione liturgica del popolo di Dio”.
Relazione di Raffaella Carenza. Nella relazione che presento questa sera, affronto il tema della “Pietà popolare”. Papa Francesco, in un incontro di alcuni anni fa con la diocesi di Roma, affermò che la “pietà del popolo di Dio” è “il sistema immunitario della Chiesa”. Il Papa ha sempre dedicato la sua attenzione sulla questione della “pietà popolare”, che nonostante abbia a sostegno un magistero chiaro e inequivocabile, a cominciare dalla Evangelii nuntiandi di Paolo VI, continua da molte parti a essere considerata un qualcosa di riduttivo, se non di deteriore, rispetto a una fede “alta”, “colta”, “matura”. Non è la prima volta che Bergoglio affronta questa tematica. Nel 2002, ancora cardinale, in un’intervista spiegava come «l’esperienza cristiana non è ideologica. È segnata da una originalità non negoziabile che nasce dallo stupore dell’incontro con Gesù Cristo…” Divenuto Papa, proprio alla pietà popolare ha dedicato nel 2013 il terzo capitolo dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, nel quale traspare con forza la sua personale esperienza di pastore della America Latina. Nella Esortazione è evidente l’influenza dei documenti delle Conferenze Generali dell’Episcopato Latino Americano di Puebla (1979) e di Aparecida (2007). Il Papa, ispirato proprio da tali documenti, dichiara che «il popolo evangelizza continuamente se stesso», e che la pietà popolare è, in questo senso, «autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista». La spiritualità, passa attraverso molte vie, una di esse è proprio la pietà popolare ossia un modo del popolo di vivere la fede, seguendo tradizioni spirituali che vengono dai secoli. Nel terzo capitolo dell’esortazione Evangelii Gaudium, intitolato «L’annuncio del Vangelo» (EG 110-175), il Papa dedica uno spazio considerevole al tema della «pietà popolare» legata alla sua «forza evangelizzatrice» (EG 122-126). Papa Francesco afferma il ruolo evangelizzatore che hanno i popoli ove il Vangelo è già penetrato nelle culture, con le quali si sentono identificati. Ciò fa sì che ogni popolo trasmetta «la fede in modi sempre nuovi; da qui l’importanza dell’evangelizzazione intesa come inculturazione». Papa Francesco, nell’esortazione, sottolinea che ogni popolo ha la sua cultura, le sue tradizioni, il suo modo di vivere. Come la luce si esprime nei colori dell’arcobaleno, anche le diverse culture si presentano come un ventaglio di modalità di essere uomini e donne: una varietà di espressioni che inneggiano alla grandezza di Dio, la quale può essere percepita nell’esuberanza e multiformità del creato, nei diversi volti in cui si esprime l’umanità. Il Papa ritiene così che la Chiesa, inculturandosi nell’umanità, deve far sua la ricchezza di questi volti, per diventare come «la sposa che si adorna con i suoi gioielli». La dinamica di riconoscersi, pur nella varietà delle espressioni, un popolo, è la differenza che distingue l’esperienza della fede dal relativismo della cultura contemporanea. Ogni popolo, proprio come ogni uomo e donna, ha i suoi pregi e difetti, la sua storia, fatta di espressioni lodevoli, ma anche di traumi, di rancori. Come ogni persona, anche ogni popolo è tenuto a raggiungere la pienezza di sé, superando i propri lati negativi, le proprie zone di buio. Varietà non è automaticamente sinonimo di bellezza, verità e bontà. È espressione della grandezza di Dio, che è resa visibile però solo se ogni popolo compie il percorso di purificazione e di apertura agli altri per poter così esprimere tutta la bellezza dei molti volti di un unico popolo. La religiosità popolare è stata considerata a volte come espressione pura di fede e devozione da parte del popolo, a volte come deviazione dai principi e dai riti ortodossi della religione cattolica. “Pietà popolare”, “religiosità popolare” e “religione popolare”, sono espressioni diverse che spesso hanno finito per indicare tutte la stessa cosa: manifestazioni di fede che partono dagli strati più bassi della popolazione e che spesso non trovano spazio e riconoscimento da parte dell’ortodossia cattolica. La religiosità popolare ha riti, simboli e linguaggi che esprimono purezza e spontaneità, ma che sono lontani dalla casualità o dall’improvvisazione. Sono riti radicati nella cultura popolare e anche per questo consentono un approccio meno formale e meno intellettuale alla religione. Incarnano la spiritualità profonda della gente più umile e avendo radici popolari, sono spesso legati alla natura, alla terra e al trascorrere delle stagioni. La religiosità della pietà popolare può essere considerata una scuola di fede, poiché conduce il fedele alla vita di Cristo, dei Santi e alle pratiche di pietà. Come scuola di fede stimola la vita cristiana, ma ha un rischio: allontana la fede dalla vita. E’ importante infatti che la vita di ciascuno di noi sia testimonianza del Vangelo. E’ necessario approfondire i contenuti del Vangelo e far sì che facciano parte di noi. La Chiesa infatti insiste nella evangelizzazione della religiosità popolare. C’è da sempre una forte devozione ai santi, ma, sfortunatamente, nella ricerca dei miracoli e non nell’impegno di viverne gli esempi della vita cristiana. I Santi sono intercessori, modelli e stimolo a vivere il Vangelo. Il rischio della devozione senza impegno nella vita è di restare sulla scia dell’emozione. La religiosità e la pietà popolare sono utili nella misura in cui aiutano la nostra conversione. Papa Francesco, citando il documento di Aparecida (DA 262), in cui per la prima volta la pietà popolare viene definita dai vescovi con i nomi di «spiritualità popolare» o «mistica popolare», mette in evidenza che la «pietà popolare» è una spiritualità dei semplici e degli umili, incarnata nella cultura dei poveri, ma anche pellegrina e missionaria. La «pietà popolare» possiede una profondità «mistica» che raggiunge l’intimo dei suoi fedeli, grazie all’azione primaria dello Spirito Santo, da cui dipende; e a sua volta la «mistica» non soltanto si radica con Dio nel cuore dell’uomo, ma conduce anche l’uomo, insieme a molti altri, a trasformare il mondo in cui è inserito. Entrambi questi movimenti dello Spirito sono necessari per realizzare la nuova evangelizzazione come la intende Papa Francesco. Il Papa, inoltre, evidenzia che, una «pietà popolare» che si fermi a meri segni e pii atteggiamenti esteriori, come per esempio portare la croce sul petto, se non si accompagna al tempo stesso a una vita di impegno evangelico verso il prossimo, non è «pietà popolare», e non la si potrebbe neppure chiamare «mistica popolare». Papa Francesco l’aveva già detto in precedenza nella sua esortazione, quando nel capitolo secondo scriveva: «Esiste un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un’autentica “pietà popolare”. Alcuni promuovono queste espressioni senza preoccuparsi della promozione sociale e della formazione dei fedeli, e in certi casi lo fanno per ottenere benefici economici o qualche potere sugli altri» (EG 70).
Relazione di Stefania Labbruzzo. Il tema che mi è stato affidato per questo ultimo incontro è quello della formazione liturgica del popolo di Dio. L’argomento è innegabilmente attuale, tanto che tra pochi giorni ricorrerà l’anniversario della pubblicazione della lettera apostolica Desiderio Desideravi scritta da Papa Francesco e pubblicata il 29 giugno 2022. Il documento sarà la fonte principale di queste mie riflessioni, in quanto costituisce uno degli scritti più recenti del Pontefice sul tema della formazione liturgica del popolo di Dio. Non mancheranno i riferimenti al testo La liturgia – Una diakonia mistagogica scritto da don Antonio Rubino e pubblicato nel 2012. 1. Se la liturgia è “oggi” della storia della salvezza, come ricorda il Papa, siamo invitati tutti indistintamente al banchetto eucaristico. Indubbiamente è indispensabile la nostra propensione a voler accettare l’invito, ma soprattutto e ancor prima è il desiderio che Cristo ha di noi ad essere l’elemento fondante di tale invito. Ogni volta che andiamo a Messa la ragione prima è perché siamo attratti dal suo desiderio di noi. […] Per certo ogni nostra comunione al Corpo e al Sangue di Cristo è stata da Lui desiderata nell’ultima Cena. (n.6). Come afferma don Antonio, parlando del passaggio dal mistero rivelato a quello celebrato: Dio parla agli uomini per «invitarli e ammetterli alla comunione con sé». Dopo aver mandato i profeti, Dio manda il Figlio, volendo infine che: quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. 2. Ecco che la liturgia diventa “luogo” dell’incontro con Cristo; noi abbiamo la possibilità di incontrare Cristo nell’Eucarestia e in tutti i Sacramenti. Gesù ci parla, ci ascolta, è presente, sta in mezzo a noi. Io sono […] la peccatrice perdonata e l’emorroissa, […] Zaccheo e Lazzaro, il ladrone e Pietro perdonati. Il Signore Gesù […] continua a perdonarci, a guarirci, a salvarci con la potenza dei sacramenti. (n.11) Don Antonio, infatti, afferma che: La liturgia contribuisce in sommo grado «a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa». La liturgia forma e dà forma alla comunità giorno dopo giorno e le permette di celebrare e vivere la propria fede. 3. La Chiesa è sacramento del corpo di Cristo, che scaturisce direttamente dal suo costato, infatti: dal costato del nuovo Adamo, addormentato nel sonno della morte, nasce la nuova Eva, la Chiesa. (n.14) Il mistero della chiesa è: presente nel mondo, fino alla parusia, per comunicare, celebrare e servire il Vangelo di Dio. La partecipazione alla Liturgia irrobustisce nei credenti «le loro forze per predicare il Cristo». È in quest’ottica che, come ricorda don Antonio, si stabilisce un’intima connessione tra lex orandi, lex credenti e lex vivendi. A. Per riuscire a entrare in comunione reale con il Verbo fatto carne, dobbiamo affidarci totalmente all’azione salvifica dello Spirito Santo, facendo sì che la sua opera compia in noi quel “miracolo” che ci permette di essere perennemente innamorati del Signore in modo sempre nuovo e fruttuoso. Il nostro obiettivo è, perciò, quello di riuscire a superare la “pesantezza” dell’abitudine nella partecipazione alla Santa Messa. Dobbiamo anche riscoprire l’importanza autentica dei Sacramenti, perché spesso tendiamo ad apprezzarne solo l’aspetto esteriore e materiale, con il rischio di ridurre il tutto a un qualcosa in stile “usa e getta”, anziché godere dei frutti che apportano alla nostra fede. Siamo chiamati a essere testimoni per coloro che vogliono incontrare Cristo, cercando di invogliare quanti sono lontani a conoscere il Vangelo, tutto ciò sempre nei limiti del possibile, considerando le difficoltà che intralciano la nostra opera di evangelizzazione. Non dobbiamo scoraggiarci, né tantomeno usare questa condizione di difficoltà come parafulmine ma, al contrario, dobbiamo sfruttare la nostra esperienza e il nostro cammino di fede per fare meglio, altrimenti gli interessi personali ci allontaneranno dagli altri e da Dio. 4. Il Papa insiste tanto sul senso teologico della liturgia quanto sulla bellezza del celebrare cristiano. Con la sua lettera, vuole: invitare tutta la Chiesa a riscoprire, custodire e vivere la verità e la forza della celebrazione cristiana. (n.16) Don Antonio ci ricorda che la liturgia è celebrazione del mistero, che non sostituisce il mistero stesso, ma che resta accessibile solo attraverso la fede. La fede, infatti, è radice di pienezza umana, amica della libertà, dell’intelligenza e dell’amore. 5. La liturgia è anche il migliore antidoto al veleno della mondanità spirituale individuato dal Papa nello gnosticismo e nel neo-pelagianesimo. Rispetto al primo: La Liturgia non dice “io” ma “noi” (n.19), guarendoci dal male del soggettivismo; rispetto al secondo ci ricorda che: Non si entra nel Cenacolo se non che per la forza di attrazione del suo desiderio di mangiare la Pasqua con noi (n.20), guarendoci dalla presunzione di poter ottenere la salvezza solo con le nostre forze. Nel descrivere l’uomo contemporaneo, don Antonio distingue tra uomo orante e uomo debole, sottolineando il difficile contesto europeo, crocevia di dinamiche contraddittorie. L’uomo è portatore di situazioni antinomiche: fiducia nella conoscenza scientifica/relativismo e scetticismo verso la conoscenza della verità; razionalità calcolante/ vissuto affettivo ed emotivo; libertà individuale/determinismi vari; sensibilità ai grandi valori dell’etica pubblica/criteri fortemente individualistici. 6. In risposta a queste dicotomie che caratterizzano la nostra società, non possiamo che riscoprire la bellezza e la verità della celebrazione cristiana. Dobbiamo però fare attenzione perché: la continua riscoperta della bellezza della Liturgia non è la ricerca di un estetismo rituale che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito. (n.22) La liturgia è strettamente legata al concetto di mistero che: che abbraccia sia l’azione salvifica (di Dio in Cristo) sia la sua rappresentazione rituale. Si passa dall’annunciare Cristo e la sua opera salvifica, all’attualizzazione della stessa nella Chiesa e nei suoi riti. B. Durante le celebrazioni spesso la nostra mente si trova altrove e tendiamo a distrarci; tuttavia, consapevoli delle nostre debolezze, dobbiamo rafforzare la nostra volontà al fine di tendere anche spiritualmente a quella bellezza che mai deve ridursi a mero estetismo farisaico. Per accostarci adeguatamente alla liturgia, è doveroso lasciare parte del nostro “io” per diventare un “noi”; spesso però non ne siamo capaci. È difficile entrare in Chiesa con la nostra individualità e lentamente far posto alla comunità che celebra riunita in assemblea, ma è anche necessario perché il Signore sta in mezzo a quei due o tre riuniti nel suo nome. La nostra partecipazione deve essere fruttuosa, anche se non siamo sempre in grado di curare ogni aspetto di una celebrazione per quanto ci compete. Questo non riguarda solo chi legge, chi serve o chi canta, ma ciascun membro dell’assemblea che deve essere capace di trarre dalla celebrazione i frutti necessari per vivere da battezzato nella vita quotidiana. 7. Il Papa sottolinea con insistenza la necessità di provare stupore per il mistero pasquale. Non deve mai mancare la meraviglia negli occhi del cristiano: lo stupore è parte essenziale dell’atto liturgico perché è l’atteggiamento di chi sa di trovarsi di fronte alla peculiarità dei gesti simbolici. (n.26) Lo stupore, ricorda don Antonio, deriva anche dalla consapevolezza che la liturgia è mistagogia, cioè: comunicazione attraverso parole-gesti-azioni, che introduce al mistero: la liturgia ha una sua efficacia pedagogica […] nell’introdurre i fedeli alla conoscenza del mistero celebrato. Se i battezzati comprendono di partecipare alla Liturgia della Pasqua, allora la mistagogia è riuscita ad assolvere al suo compito, ponendosi a servizio del mistero cristiano. 8. Dalla complessità di tali riflessioni, scaturisce la necessità di una seria e vitale formazione liturgica. Ma il papa ricorda che: è necessario trovare i canali per una formazione come studio della liturgia […] al di fuori dell’ambito accademico, in modo accessibile (n.35). La formazione è anche conformazione a Cristo, noi diventiamo Lui, noi diventiamo quello che mangiamo. La liturgia non è astrazione, ma è quanto di più concreto possa esistere (pane, vino, gesti, parole). È tutto il creato che viene assunto per essere messo a servizio dell’incontro con il Verbo incarnato, crocifisso, morto, risorto, asceso al Padre. (n.42) Dobbiamo recuperare la consapevolezza che tutto viene da Dio e diviene strumento per la nostra salvezza. È bellissima l’immagine dei nonni che insegnano il segno della croce ai bambini, immagine che il Pontefice usa per descrivere la necessità di insegnare e di tramandare il senso dei gesti ai più piccoli. Bisogna educare alla via buona del Vangelo, con una formazione alla e dalla liturgia. Don Antonio lo ricorda: da una parte, rimane fondamentale educare a celebrare, ossia incrementare il contributo della formazione della Liturgia; ma, dall’altra parte, si deve imparare a cogliere e valorizzare il contributo che viene dalla Liturgia per un’educazione alla vita buona in senso evangelico. 9. L’Ars celebrandi non si può improvvisare e tutti siamo chiamati a una partecipazione attenta e attiva: il radunarsi, l’incedere in processione, lo stare seduti, in piedi, in ginocchio, il cantare, lo stare in silenzio, l’acclamare, il guardare, l’ascoltare. (n.50) Come afferma don Antonio nel terzo capitolo del suo libro, è solo una partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa (scienter, actuose et fructuose) che permette ai fedeli di santificare in offerta ininterrotta, tutta la loro vita nel perfetto culto a Dio, perché si realizzi il mistero della volontà del Padre di ricondurre al Cristo tutte le cose. C. Perché ogni Liturgia sia efficace, è necessario riscoprirne la bellezza e continuare a stupirci davanti al mistero pasquale; ciò significa avvicinarci con cuore sincero all’Eucarestia rendendoci conto che lì ci sono il corpo e il sangue di Cristo. Vivere senza cogliere la bellezza del mistero pasquale significherebbe indebolire il punto di forza del cristiano, cioè la fede. Dobbiamo sforzarci di partecipare consapevolmente, attivamente e fruttuosamente alla celebrazione per sentire in ciascuno di noi la presenza di Cristo e per essere ricondotti a Lui. Spesso, però la nostra mente è distratta, dovremmo imparare a fare silenzio non solo con le parole, ma con i pensieri, per metterci in ascolto, per riflettere e per raccogliere i frutti di ogni celebrazione, affinché possa migliorare la nostra preghiera, la nostra fede e la nostra vita, riconducendo incessantemente tutto a Cristo. Concludo con le parole di Papa Francesco: abbandoniamo le polemiche per ascoltare insieme che cosa lo Spirito dice alla Chiesa, custodiamo la comunione, continuiamo a stupirci per la bellezza della Liturgia. Ci è stata donata la Pasqua, lasciamoci custodire dal desiderio che il Signore continua ad avere di poterla mangiare con noi.
È una tematica unitaria, distinta in due capitoli. Proviamo a capire in che senso parliamo di pietà popolare come modo di vivere una fede in una cultura. È la religione che rende credibile la fede. Il modello culturale della religione trasmette l’assoluto e non è mai completo perché le culture sono relative e parziali e non possono comprendere l’assoluto della fede. La pietà popolare è il modo popolare di vivere la fede, come cioè il popolo vive la fede nella specificità della sua cultura. Tutti i popoli hanno una cultura, cioè un sistema di vita e un modo di pensare. Ciascun popolo ha un suo modello di vita che lo caratterizza e lo rende distinto e diverso da altri popoli, esiste quindi una pluralità di culture. Le processioni, la musica e tutti i segni sono espressioni della pietà popolare. La religione è un codice di segni, un universo di realtà segnalate dalla lingua, dall’architettura esterna, dalla musica e dai colori. Tutti segni visibili di una realtà invisibile. Res signans è data da res signata, nel significante è dato il significato. Tutto ciò che viviamo è un universo di segni che manovriamo senza accorgercene. La pietà popolare è un modo di incarnare la fede in una cultura.
Nella esortazione post-sinodale Querida Amazonia, il popolo è definito come luogo teologico, cioè luogo in cui si rivela Dio e in cui il popolo è maestro di fede. Il popolo vive la fede e la insegna (affida ai segni) e la trasmette. Questo concetto è rappresentativo del sensus fidelium (sentire dei fedeli) che è fondamentale per capire come le verità di fede siano sentite dal popolo prima di essere definite dalla chiesa. Come l’ultimo dogma dell’Assunzione di Maria al cielo, definito da Pio XII. È valso prima il sentire secolare del popolo di Dio: dalla dormitio Mariae fino all’idea che Maria è stata sottratta alla corruzione del sepolcro, assunta in anima e corpo in cielo.
Alcuni autori, tra i quali Gramsci, hanno affermato che la pietà popolare è alternativa alla pietà ufficiale della liturgia. C’è l’impegno delle conferenze episcopali regionali di evangelizzare la pietà popolare, per riportare al vangelo le espressioni popolari della fede e per far rientrare queste espressioni nella liturgia. La formazione liturgica è formazione del popolo e la liturgia è azione del popolo. Sono due azioni popolari: la pietà popolare celebra nella cultura di appartenenza la fede e il mistero di Cristo; la liturgia è il popolo di dio che celebra il mistero. La pietà popolare si sviluppa secondo modelli culturali del popolo; la liturgia si è sviluppata secondo il codice ufficiale proposto dalla chiesa, ma il soggetto dell’azione è sempre il popolo. La nozione di popolo, distante da categorie sociologiche e politiche, è costruzione di una storia, divenire di un destino. Il popolo si educa vivendo la fede nella pietà popolare ed è educato con liturgia.
Rosmini dice che la liturgia è un corso di educazione, che richiede la comprensione dei segni e dei testi. La Settimana Santa è carica di segni: immagini velate, reposizione dell’eucarestia. Bisogna lasciarsi educare dalla liturgia. Rosmini dice che la prima delle cinque piaghe della chiesa è la separazione del clero dal popolo nella liturgia. Un esempio fra tanti, l’incomprensibilità del latino per molti fedeli prima della Riforma del Concilio. La lingua è un segno, che va compreso.
La liturgia è una cosa. La formazione alla liturgia è un’altra. La liturgia va celebrata come popolo, ma non va manomessa con aggiunte e spiegazioni. Ma liturgia da sola e di per sé è manifestazione del mistero e, celebrandola comunitariamente, attraverso l’educazione personale ricevuta, un fedele comprende cosa sta facendo e celebrando. Altrimenti si rischia di trasformare la liturgia in uno spettacolo con telecronaca. La liturgia va preparata personalmente o comunitariamente, ma in quel momento va vissuta e celebrata, non accompagnata da logorroiche spiegazioni che nascondono quello che è già chiaro. Un’orazione è già chiara, una preghiera eucaristica è già chiara di per sé. La liturgia è la continuazione del tempo di Cristo nel tempo della Chiesa. Ogni volta che celebriamo la liturgia, celebriamo Cristo che nell’oggi diventa presente attraverso tutti quei segni, donandoci l’oggi della salvezza. La liturgia deve educare a vivere quella salvezza in atto.