Il titolo di questo mio breve intervento, e dell’intero evento che stiamo celebrando, necessita di qualche chiarimento: L’arte nella liturgia. “Arte” e “liturgia” sono due parole che, nella celebrazione cultuale, costituiscono un’unica realtà. Quindi più che parlare dell’arte nella liturgia, si dovrebbe parlare della liturgia come un’opera d’arte. E quando parliamo di liturgia parliamo dell’ “opera di Dio” (opus Dei) celebrata dal suo popolo. La liturgia è quindi anzitutto un’opera compiuta da Dio. Perciò Benedetto XVI ha potuto affermare che “la bellezza non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione” (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis 35). Ma la liturgia è opera di Dio in favore del suo popolo, il quale “risponde a Dio con il canto e la preghiera” (Costituzione Sacrosanctum Concilium 33). Possiamo affermare che l’arte, che è bellezza, comporta armonia. In musica, armonia indica accordo di voci e di suoni. Nella celebrazione liturgica la prima armonia è quella che si stabilisce tra l’azione di Dio e la risposta dell’assemblea celebrante. La superficialità, e talvolta perfino la banalità, addirittura la negligenza di alcune celebrazioni liturgiche distruggono questa armonia e conseguentemente minimizzano la funzione principale della liturgia: introdurci con tutto il nostro essere in un mistero che ci supera totalmente.
Alla luce di queste premesse, vorrei illustrare brevissimamente le caratteristiche o, meglio, l’armonia dello spazio in cui l’azione liturgica si svolge. Luogo proprio di riunione del popolo di Dio per le celebrazioni liturgiche, in particolare per l’Eucaristia, è l’edificio chiesa. Nella costruzione e adeguamento delle chiese, i principi artistici devono essere salvaguardati, ma vanno salvaguardate anche le esigenze del mistero in esse celebrato. Anticamente il luogo di culto era chiamato “domus ecclesiae”, cioè casa della chiesa o dell’assemblea comunitaria. Questa casa quindi deve costruirsi e organizzarsi in modo che rispecchi il mistero della chiesa che ivi celebra. Naturalmente, la chiesa è anche la casa del Signore: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20), ha detto Gesù. La chiesa quindi non dovrebbe essere un aula di scuola, né una sala di spettacolo, né un luogo per assemblee sindacali, né uno spazio polivalente. La chiesa è il luogo in cui la comunità cristiana si raduna per celebrare i misteri della sua fede. Ciò che importa quindi è che questo luogo esprima una relazione dinamica dei vari punti focali della celebrazione, incarnata in elementi diversi e in una loro armonizzazione coerente.
Ecco in brevissima sintesi le caratteristiche armoniche che dovrebbero avere questi diversi elementi nello spazio della celebrazione, che non è un semplice contenitore, ma un valore simbolico e iniziatico, cioè dice la fede della Chiesa e la comunica. In seguito, mi soffermo su: la soglia, il battistero e il porta cero pasquale, l’aula, l’altare, l’ambone, la sede del celebrante. Qualche parola anche sulla Cappella del Ss.mo Sacramento e naturalmente sulla Via Crucis. Con uno sguardo a ciò che è stato realizzato in questa chiesa parrocchiale di san Roberto Bellarmino.
1. La soglia. La soglia è una specie di cerniera tra due dimensioni. Il portale della chiesa è simbolo di Cristo, attraverso il quale bisogna sempre passare perché il legame con Dio sia vero. Gesù è la vera porta che conduce al cuore del mistero di Dio; lo ha detto egli stesso: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato” (Gv 10,9). Possiamo parlare anche delle soglie, al plurale, composte da quegli spazi che stanno oltre il portale d’ingresso ma non sono ancora parte dell’aula. Dovrebbero richiamare la condizione battesimale della vita cristiana. Infatti l’elemento più caratteristico di questi spazi è la presenza dell’acqua santa. È luogo che ritualizza il rinnovarsi della propria adesione battesimale prima di prendere posto attorno alla tavola eucaristica.
2. Il battistero e il Cero pasquale. Il battesimo è in chiaro rapporto armonico con l’ambone e l’altare, a cui conduce. Tale rapporto può essere risolto in diversi modi. Sarebbe auspicabile per il battistero uno spazio non lontano dall’ingresso della chiesa. Il battesimo è un rito di entrata, in cui avviene l’incorporazione dei credenti alla comunità. La celebrazione però dei battesimi nell’ambito della celebrazione eucaristica, ha consigliato talvolta di collocare il battistero non lontano dal presbiterio assieme al cero pasquale. Per quanto concerne la decorazione ornamentale del battistero, essa dovrebbe mettere in risalto il senso del rito battesimale, principio che è valido per gli altri spazi e oggetti cultuali. Nel battistero o fonte battesimale di questa parrocchia, primeggiano due immagini: Cristo risorto che sorregge la coppa dell’acqua battesimale: infatti nel battesimo siamo stati sepolti insieme a Cristo nella morte affinché come Cristo risuscitò dai morti anche noi possiamo camminare in una vita di risorti (cf. Rm 6,3-4). Il battesimo quindi ci unisce a Cristo come i tralci alla vite, che è la seconda immagine del battistero. Ha detto Gesù: “come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me” (Gv 15,4). La base del cero pasquale, collocato accanto al battistero, è ornato con una serie di stelle che potrebbero fare riferimento ad un passaggio del preconio pasquale, che termina con queste significative parole: “[questo cero] trovi acceso la stella del mattino, quella stella che non conosce tramonto: Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti fa risplendere sugli uomini la sua luce serena…”
3. L’aula. L’aula o navata è lo spazio destinato all’assemblea dei fedeli e deve favorire anche fisicamente e visibilmente la comunione dei fedeli convocati, nonché la loro partecipazione attiva. Devono essere curate anche la diffusione sonora della voce e una idonea illuminazione. Lo spazio dell’aula va organizzato in modo tale che permetta il movimento processionale dei ministri e dell’assemblea dei fedeli quando, ad esempio, essi si accostano alla mensa eucaristica. L’ornamentazione dell’aula deve essere sobria in modo che non distragga dalla partecipazione alla celebrazione che ha come centro l’altare.
Il luogo proprio del sacerdote e dei suoi ministri è distinto da quello dei fedeli, per esprimere la struttura gerarchica della comunità ecclesiale e la diversità dei compiti in essa (cf. Ordinamento generale del Messale Romano, n. 294), ma l’unità del presbiterio con la navata o aula dev’essere pure avvertita, poiché sacerdote e ministri formano con i fedeli l’unico popolo dei battezzati.
Semplicità, chiarezza e sobrietà dovrebbero coinvolgere lo spazio cultuale a cominciare dall’area presbiterale dove non di rado si accumulano elementi che soffocano i segni qualificanti di questo luogo centrale.
4. L’altare. Il posto centrale del presbiterio è occupato dall’altare che, come dice il Rito della dedicazione di un altare (n. 155), è “il centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia: a
questo centro sono in qualche modo ordinati tutti gli altri riti della Chiesa”. Per evocare la duplice dimensione di mensa del sacrificio e del convito pasquale, l’altare dovrebbe essere preferibilmente di pietra naturale e la sua forma rettangolare e coperto con una tovaglia. Simbolo di Cristo, pietra angolare della sua Chiesa e chiave di volta della comunità da lui edificata (cf. Mt 21,42; Ef 2,20), distaccato dalla parete, l’altare ha il compito di riorganizzare lo spazio in modo armonico.
Gli eventuali ornamenti artistici dell’altare dovrebbero esprimere la doppia dimensione conviviale (mensa) e sacrificale (altare). C’è talvolta la tentazione di costruire un altare o anche un ambone “a forma di qualcosa”, così, ad esempio, un altare a forma di pane o un ambone a forma di libro. L’altare e l’ambone, in realtà, non devono avere nessuna forma, devono essere altare e ambone. Il senso spirituale di un oggetto non si dà mediante un suo travestimento.
Nella visione frontale dell’altare di questa parrocchia, emergono al centro le tavole della Legge e la Croce di Cristo, simboli dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sul lato sinistro, il particolare di Mosè che con il popolo d’Israele attraversa il Mar Rosso. Sul lato destro, Cristo risorto e, sullo sfondo, Gerusalemme: ecco quindi raffigurate la pasqua ebraica e la pasqua cristiana. Nell’Eucaristia questo mistero pasquale si ripresenta sacramentalmente. Esprimono questa dottrina molte preghiere del Messale; così, ad esempio, l’orazione sulle offerte della Messa In Cena Domini del Giovedì Santo: “… ogni volta che celebriamo questo memoriale del sacrificio del Signore, si compie l’opera della nostra redenzione”. Si tratta del sacrificio del “Signore”, titolo che appartiene a Cristo risorto. Si potrebbe notare anche che la croce al centro è senza il Crocifisso: è la croce gloriosa, il “vessillo glorioso di Cristo”.
5. L’ambone. Dopo secoli di oblio e di occultamento, in cui è stato preferito il pulpito: luogo di esortazione e ammaestramento, il ritorno dell’ambone all’interno dello spazio liturgico corrisponde alla riscoperta avvenuta grazie al Concilio Vaticano II del posto occupato della parola di Dio nella vita della Chiesa. L’ambone è la tavola della parola di Dio, così come l’altare è la tavola del pane eucaristico, e il battistero la “tavola” dell’inserzione nella comunità ecclesiale. Dalla raffigurazione che abbiamo in questa chiesa emerge il significato di questo luogo liturgico della Parola: dalla tomba vuota l’angelo annuncia la risurrezione di Cristo (cf. Mt 28,6), mistero che sarà il nocciolo della predicazione apostolica, già nel primo discorso di san Pietro nel giorno di Pentecoste a la folla: “Dio ha risuscitato [Gesù di Nazaret], liberandolo dai dolori della morte” (At 2,24). In questo modo l’ambone diventa memoria dell’annuncio pasquale, sua icona spaziale.
6. La sede del celebrante. La sede del sacerdote celebrante è funzionale al suo ruolo, deve cioè mostrare il suo compito di presiedere l’assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta la popolo, non troppo distante dall’assemblea dei fedeli in modo da favorire la facile comunicazione con essa (cf. Ordinamento generale del Messale Romano, n. 310).
7. San Roberto Bellarmino e altri Santi. Sullo sfondo del presbiterio, o abside, abbiamo ciò che possiamo chiamare il ciclo dei Santi, San Roberto Bellarmino, titolare della chiesa, e altri santi. La santità non è altro che lo sviluppo supremo della grazia battesimale. Essa è dunque comunione con Cristo nell’atto stesso della sua morte e risurrezione, nella sua Pasqua. Ecco quindi che tutte le forme di espressione della santità cristiana si modellano sull’esempio di Cristo morto e risorto, del Cristo del mistero pasquale, di cui il santo, in particolare il martire, è eminente imitatore e quindi anche esemplare per tutti noi.
8. Cappella del Ss.mo Sacramento. Questa cappella è ornata con simboli eucaristici: sul tabernacolo c’è il pellicano. Secondo un’antica anche se errata credenza, questo uccello nutriva la prole con la propria carne e il proprio sangue. Nel Medioevo, il pellicano divenne simbolo dell’abnegazione e del sacrificio genitoriali e allegoria del supremo sacrificio di Cristo, fonte di vita per l’umanità. Nel noto inno Adoro Te devote, attribuito a san Tommaso d’Aquino, la penultima strofa adopera questa immagine: “Oh pio Pellicano, Signore Gesù, purifica me, immondo, col tuo sangue, del quale una sola goccia può salvare il mondo intero da ogni peccato”. In questa cappella ci sono altre due raffigurazioni: l’ultima Cena di Gesù con i discepoli, in cui viene istituita l’Eucaristia; e la moltiplicazione dei pani, simbolo e profezia dell’Eucaristia.
9. La “Via Crucis”. “La Via Crucis è pio esercizio relativo alla Passione di Cristo, è opportuno tuttavia che esso si concluda in modo tale che i fedeli si aprano all’attesa, piena di fede e di speranza, della risurrezione…” (Direttorio su pietà popolare e liturgia, n. 134). E’ quindi da lodare l’aver collocato al centro delle stazioni della Via Crucis il Cristo risorto che illumina, per così dire, il senso della via della croce e conduce l’orante alla via della luce inaugurata appunto con la risurrezione del Signore. In una società che spesso reca l’impronta della “cultura della morte”, è uno stimolo per instaurare una “cultura della vita” (cf. ivi, n. 153).
Concludendo questo sommario elenco degli elementi dello spazio celebrativo, vorrei sottolineare che in essi emerge la centralità del mistero pasquale del Cristo morto e risorto, mistero che, come dice la Costituzione sulla liturgia del Vaticano II, la Chiesa mai ha tralasciato di radunarsi in assemblea per celebrarlo (cf. n. 6).
Considerazioni conclusione. Avviandoci verso una valutazione d’insieme, bisogna premettere anzitutto che “la Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico” (SC 123). Detto questo, l’edificio chiesa non è un museo, non è un luogo di raccolta incidentale di oggetti delle mode o del gusto, o coordinati al tipo di arredamento che hanno i frequentatori e magari i finanziatori di quella chiesa. Perciò considero che è stato opportuno l’arricchimento della chiesa parrocchiale di san Roberto Bellarmino con una serie di veri e propri mini programmi iconografici in collaborazione con la scuola di ceramisti di Grottaglie del maestro Orazio Del Monaco. Troppo spesso troviamo oggi chiese nuove e meno nuove decorate senza un criterio artistico e contenutistico unitario. Abbiamo invece in Italia una serie di realizzazioni medioevali e alcune del Rinascimento che ci hanno lasciato al riguardo opere di valore perenne. Ne cito soltanto due.
E’ nota la decorazione del duomo di Monreale, in Sicilia. Gli oltre seimila metri quadrati di mosaici, eseguiti nel secolo XII, narrano l’intero ciclo divino ed umano del Verbo di Dio. Il punto centrale e focale è l’immenso Cristo Pantocratore, che occupa l’intera superficie del catino absidale. Il grande arco del presbiterio segna l’avvio della narrazione che si svolge su due registri, ove le scene che si susseguono sviluppano il tema della salvezza universale.
Alcuni secoli dopo, a Roma viene eseguita la volta della Cappella Sistina che contiene un celeberrimo ciclo di affreschi di Michelangelo Buonarroti, realizzato negli anni 1508-1510 e considerato uno dei capolavori assoluti e più importante dell’arte occidentale.
Così pure altre chiese dei secoli passati sono state arricchite da veri e propri programmi iconografici, che sono tuttora oggi una autentica catechesi per coloro che li contemplano. Il linguaggio dell’arte non è semplice ornamento esteriore della liturgia, ma è parte in qualche modo costituiva di essa e contribuisce fortemente a determinare il significato e l’efficacia dell’esperienza celebrativa. Non appena consideriamo i monumenti liturgici del passato, possiamo comprendere la ricchezza immensa, nonché l’ampio margine di libertà, che la tradizione cristiana mette a nostra disposizione.
La liturgia adopera essenzialmente un linguaggio simbolico per introdurci in una visione più profonda delle cose e del mistero che celebriamo. “Le opere d’arte cristiana offrono al credente un tema di riflessione e un aiuto per entrare in contemplazione in una preghiera intensa, attraverso un momento di catechesi, come anche di confronto con la Storia Sacra. I capolavori ispirati dalla fede sono vere “Bibbie dei poveri”, “scale di Giacobbe” che elevano l’anima fino all’Artefice di ogni bellezza, e con Lui al mistero di Dio…” (Documento finale dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, 27-28 marzo 2006).
La reazione previa e posteriore al Concilio Vaticano II alle prese con la sovrabbondanza decorativa, che ha caratterizzato gli ultimi secoli dal Rinascimento in poi, è stata una spoliazione talvolta eccessiva delle chiese esistenti e la realizzazione di chiese nuove troppo spesso assolutamente prive di qualsiasi elemento iconografico. Occorre invece avere presente che “oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra può esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e trasmissione del messaggio evangelico” (J. Ratzinger, Introduzione, in Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, LEV – S. Paolo, Città del Vaticano – Cinisello Balsamo 2005).
E concludo. Nello spazio liturgico dovrebbero trovare espressione tanto la dignità dell’uomo come l’opera di Dio: non in maniera didascalica, ma elevante; non intellettualistica, ma sciolta e giocosa; non in maniera puramente funzionalistica, ma facendo spazio al mistero.
Bibliografia adoperata. JOSÉ ALDAZÁBAL, Simboli e gesti. Significato antropologico, biblico e liturgico, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1988; LOUIS BOUYER, Architettura e liturgia, Qiqajon, Comunità di Bose 1994; KLEMENS RICHTER, Spazio sacro e immagine di Chiesa. L’importanza dello spazio liturgico per una comunità viva, EDB 2002; GIULIANO ZANCHI, La forma della chiesa, Qiqajon, Comunità di Bose 2005; GOFFREDO BOSELLI (ed.), L’altare. Mistero di presenza, opera dell’arte, Qiqajon, Comunità di Bose 2005; GOFFREDO BOSELLI (ed.), L’ambone. Tavola della Parola di Dio, Qiqajon, Comunità di Bose 2006; AA.VV., “Domus ecclesiae”. Per un’estetica della liturgia, in “Rivista Liturgica”, n. 1 dell’anno 2014; JEAN-YVES HAMELINE, Poetica delle arti sacre, Qiqajon, Comunità di Bose 2017.