Buona sera.
Un caloroso e sincero saluto a tutti per aver accettato l’invito a condividere questo momento di gioia: benvenuti.
In modo particolare do il mio benvenuto a S. E. l’Arcivescovo, al prof. padre Matias Augè e a suor Teresina Dessupoiu.
Il mio saluto poi, unito a quello della Comunità parrocchiale, si fa affettuoso soprattutto verso il Maestro Orazio Del Monaco che ha modellato la nuova Via Crucis, verso mons. Franco Semeraro che ci accompagnerà in quest’appuntamento, al Coro parrocchiale e alla Sacra Corale Jonica.
Quest’atteso appuntamento, nel quale l’Arcivescovo benedirà la nuova Via Crucis, ci propone un tema su cui riflettere: l’Arte nella Liturgia. Le domande immediate che ci poniamo riguardano in modo particolare la capacità dell’arte di entrare nella liturgia: «quando l’arte è liturgica? Quando serve (inserviat) alla liturgia? (cf. Sacrosantum Concilium, 123)».
L’architettura e l’arte non compiono una funzione puramente ornamentale, sono piuttosto parti integranti del culto.
La liturgia ha bisogno dell’arte, sia perché liturgia dell’Incarnazione sia perché non si può concepire una liturgia senza arte.
La liturgia manifesta la trasfigurazione della realtà e l’arte è capace di evocare in modo particolare questa trasformazione, di alludere a questo processo di metamorfosi che ha come soggetto lo Spirito Santo.
È dunque vero che la Liturgia ha bisogno del linguaggio dell’arte, espresso nell’architettura, nella scultura, nella pittura, nelle vetrate, nella musica.
Nello stesso tempo, però, la Liturgia cristiana deve discernere e giudicare quali opere d’arte possano entrare in essa e acquisire la capacità di essere concelebranti, di essere mistagogiche, in grado cioè di condurre al mistero di Cristo.
La prima motivazione che mi ha guidato, nell’iniziare nel 2004 la collaborazione col Maestro Orazio Del Monaco, si è radicata nella convinzione che l’arte cristiana liturgica è valutata dalla sua capacità mistagogica.
Diventa arte liturgica quella che è capace di essere segno, di evocare, di narrare il mistero che si celebra.
Ci sono, infatti, opere religiose che non sono in grado di essere a servizio dell’opus Dei, così come ci sono opere in grado di essere a servizio della liturgia che però non hanno una collocazione dove la liturgia lo esige.
Qui è davvero decisiva la capacità di discernimento!
L’arte liturgica deve essere, anche, giudicata dalla sua possibilità di essere letta, percepita, accolta da parte dell’assemblea che, insieme all’arte, celebra il mistero. Se le opere d’arte non sono lette, se non sono accolte come concelebranti, se addirittura disturbano l’assemblea celebrante, allora occorre avere il coraggio e la forza di toglierle dallo spazio celebrativo.
Secondo il mio modesto pensiero ed esperienza, questi sono i due criteri da tenere presenti per giudicare un’opera d’arte come liturgica, come atta a concelebrare. Solo in questo modo si realizza un riannuncio del Vangelo, che dia significato alle ansie di tutti i giorni e sostenga i problemi gravi che assillano la quotidianità di ogni essere umano, curandone le ferite del cuore e della carne.
Mi sono chiesto, inoltre, in questi anni in cui lentamente abbiamo sviluppato questo progetto: qual è il fine cui deve tendere l’arte quando vuole entrare nella liturgia?
Con la sua bellezza, bellezza della materia e dell’arte umana, è chiamata a narrare la bellezza della presenza e dell’azione del Signore vivente: «Attraverso di lui, tu, o Dio, sempre crei buone tutte le cose, le santifichi, le vivifichi, le benedici e le doni a noi» (Preghiera Eucaristica I).
Simboli e arte testimoniano la convinzione che l’invisibile esiste, che la liturgia è una finestra aperta sull’invisibile, che il credente vuole esercitarsi a vedere l’invisibile (cf. Eb 11,27), per restare saldo in un mondo in cui il visibile sembra essere l’unica possibilità di lettura.
In un mondo limitato al visibile, e di conseguenza all’empirico, simboli e arte chiedono di essere letti, di essere presenti per aiutare gli uomini a una comprensione più profonda e totale della loro vocazione.
È necessaria, però, un’arte «rinnovata nella fede», perché l’arte, come la liturgia, «non può essere prodotta, così come si commissionano, si producono delle apparecchiature tecniche. Essa è sempre un dono».
Le epoche, infatti, di grande creatività artistica, nella storia della Chiesa, sono state contrassegnate da «una fede capace di vedere». Se giungiamo di nuovo a questa fede pasquale, «anche l’arte troverà la sua giusta espressione».
Dal 2004, motivato da quanto ho espresso, ho prima realizzato i pannelli presenti sul presbiterio: tre che raccontano brani del Vangelo (pesca miracolosa, Samaritana e Resurrezione) e tre che rappresentano i momenti salienti della vita di San Roberto Bellarmino (catechesi, predicazione e carità). Poi l’Altare, l’Ambone e il Battistero col Cero pasquale.
Nel 2012 la custodia dell’Eucaristia, e oggi la Via Crucis.
Mi auguro che l’arte liturgica, che nel corso degli anni abbiamo lentamente realizzato e posto nella nostra Chiesa parrocchiale, unitamente ad una celebrazione liturgica autentica, siano strumento per una lenta e profonda crescita spirituale, ci evangelizzino, e facendoci incontrare il Maestro ci aiutino a renderci capaci, nell’oggi della Chiesa, ad annunciare il Vangelo, ad esprimere pienamente la carità nella verità, incontrando, in uscita, ogni uomo come fratello in Cristo.
don Antonio Rubino