Riportare nella coscienza dei credenti la dimensione dell’infinita bontà di Dio. Se questa è la bontà dell’Anno santo straordinario della Misericordia indetto da papa Francesco, che pervade tutti i campi di espressione dell’umanità, il tema scelto per il Giubileo diocesano per la cultura non poteva che ricalcare questa dimensione: “Per una Cultura della Misericordia. Oltre la globalizzazione dell’indifferenza”. Avere cura degli altri, sul modello del buon samaritano, è il primo imperativo morale che la fede impone agli uomini di cultura, un imperativo che è risuonato in vario modo nella chiesa di San Roberto Bellarmino, nella quale il giubileo è stato celebrato. Per un giorno la chiesa di corso Italia si è trasformata in un “palcoscenico”, sul quale sono state rappresentate alcune delle “arti” espressive capaci di trasmettere messaggi al numeroso pubblico che ha partecipato alla celebrazione, presentata dal giornalista Rai Salvatore Catapano, con le scene e i “costumi” curati dagli studenti dell’Istituto tecnico “Archimede”.
Il Teatro della fede, con Alfredo Traversa, ha presentato un lavoro inedito “Amore che trabocca” basato sulla parabola evangelica del Buon samaritano e riletto da padre Turoldo, dai toni particolarmente intensi e commossi, mentre l’Orchestra della Magna Grecia, diretta da Piero Romano, e il Coro diocesano e il coro del “Paisiello”, diretti da Nicola Locritani. Hanno fatto da filo conduttore presentato apprezzati brani di musica classica e di musica sacra. Tra i brani eseguiti: il bellissimo “Il tuo sguardo Signore io cerco”, del giovane autore tarantino Simone Spada.
“Il nostro incontro di questa sera -ha sottolineato nel suo intervento, il vicario episcopale per la cultura, don Antonio Rubino- rientra tra le tante iniziative di celebrazione del Giubileo e in qualche modo le comprende tutte le sviluppa ulteriormente. Con il termine Cultura, secondo un importante documento del Concilio, la costituzione Gaudium et Spes, si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società, mediante il progresso del costume e delle istituzioni”.
Nel corso della celebrazione è stata recitata una preghiera di intercessione, tratta dai testi conciliari, che è stata affidata ad alcuni rappresentanti del mondo della cultura: Maria Bonetti, per i lavoratori, Salvatore Aloisio per gli uomini di pensiero e di scienza, Giovanni Azzaro per i governanti, Orazio Del Monaco per gli artisti, Domenico Palmiotti per gli operatori della comunicazione.
Nel suo intervento conclusivo l’arcivescovo Filippo Santoro ha delineato una dimensione della cultura che “spazza fuori” il bisogno che supera l’indifferenza, che è la prima tentazione. Per descrivere questo percorso della cultura della misericordia ha utilizzato tre termini che corrispondono a tre termini, tutti desumibili dalla parabola del Buon samaritano: il primo è la “cultura del rispetto”. “Com’è importante per la nostra città -ha detto- superare la diffidenza o la maldicenza. Dal rispetto deve partire, nella nostra vita sociale ogni rapporto, e questo vale anche per la vita pubblica, dove occorre un reciproco rispetto tra amministratori e cittadini”.
Dal rispetto di passa alla “cultura dell’incontro”: “noi cerchiamo una sintonia, una collaborazione con l’altro che nasce che noi a nostra volta, siamo stati “incontrati” dal Signore che si è manifestato nella Misericordia: noi non viviamo più per noi stessi come nella famiglia non viviamo perché tutti siano felici. Un alto esempio ci viene da papa Francesco, che “incontra” anche le altre religioni”. Il terzo termine è la “cultura della cura”, così come ci viene illustrato dalla parabola evangelica. Aver cura di chi bussa alla nostra porta. Dio si commuove con noi, e noi ci commuoviamo di fronte al bisogno. Questo è il cammino della Misericordia, in una società che cura i deboli, i bambini, i senza tetto, gli extracomunitari.
“Per questo -ha concluso mons. Santoro- abbiamo pensato alla realizzazione di un centro di accoglienza per i senza tetto, e nella stessa direzione vanno sia il gesto bellissimo delle carmelitane che hanno donato alla diocesi il monastero, rispondendo all’appello di papa Francesco, sia l’affido temporaneo dei minori non accompagnati, che ha già visto varie famiglie proporsi”.
Il nostro cammino è prendersi cura. Tutti dobbiamo essere operatori di misericordia che non si tirano indietro ma si prendono cura degli altri, della terra, dell’ambiente, sull’esempio di Gesù Cristo, vincendo la cultura dell’odio e della sopraffazione.
Silvano Trevisani