Ho accolto volentieri l’invito di don Antonio Rubino a scrivere questa postfazione al suo bel saggio sulla Liturgia, proposta come diakonia mistagogica. La lettura di queste pagine ha suscitato in me una profonda condivisione della dimensione teologica che le attraversa, ma ne accolgo anche l’evidente intenzionalità pastorale che le anima.
Come Vescovo, all’inizio del mio ministero in Terra jonica, questa pubblicazione costituisce un’occasione per alimentare e sollecitare il mio servizio alla amata Comunità tarentina.
Mi sembra che uno dei pregi maggiori dello studio condotto da don Antonio sia il richiamo alla circolarità di relazione tra la lex orandi, la lex credendi e la lex vivendi, per sostenere che la Liturgia non è una semplice ritualizzazione del Mistero e che la vita cristiana è nello stesso tempo celebrativa della fede ed operativa delle verità credute.
La funzione pedagogica della Liturgia, sottolineata da don Antonio, costituisce per noi Pastori e per gli operatori pastorali un invito a ripensare le modalità stesse della catechesi liturgica ed a finalizzare l’istruzione religiosa alla partecipazione consapevole e responsabile dei nostri fedeli al Mistero pasquale. Infatti, lo stesso calendario delle grandi festività, mentre celebra Cristo nella sua vicenda di morte e di risurrezione, interpella i tempi della nostra vita, segnati dalla precarietà e dalla mortalità, ma abitati già dalla salvezza del Risorto.
L’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, ma anche gli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana per il decennio 2010-2020, ci invitano a fare della fede la ragione della nostra speranza, nell’incontro che si rinnova in ogni celebrazione eucaristica con la persona di Cristo, Parola fatta carne. Come ho avuto modo di dire nell’omelia di inizio del mio ministero episcopale a Taranto, la novità dell’incontro con Cristo muove diversamente ciascuno di noi e genera un modo diverso di vivere la famiglia, il lavoro, la professione e tutta l’esistenza perché ci apre alla grandezza della vita cristiana. Perciò l’esperienza della fede ci spingerà alla carità, cioè ad una presenza amorevole nella società, nella scuola, nell’università, nella cultura, nell’arte, nell’economia, nella politica, nello sport, valorizzando le risorse naturali, le competenze di tutti e le diversità di cui è ricca la nostra società multiculturale.
Già i Padri del IV secolo proponevano la funzione mistagogica, come risposta cristiana alle attese, alle urgenze, ai cambiamenti culturali del loro tempo. Anche per noi, segnati dal travaglio della postmodernità e dall’insorgenza di nuovi orizzonti culturali, talvolta incapaci di trascendenza e di appello divino, quella risposta conserva una sua validità, perché – come riferisce don Antonio – “traspira la sapienza teologica, la Sacra Pagina meditata e tradotta nel vissuto ecclesiale, la spiritualità liturgico-sacramentaria più profonda e più semplice, l’azione catechetica-pastorale dalla presa proficua sulle persone dei fedeli”. Infatti, la comunicazione mistagogica intende rivelare l’azione del Signore che si manifesta in varie forme, ma vuole anche sollecitare il fedele a percepire la stretta relazione tra l’ars celebrandi e l’actuosa participatio. E come afferma san Leone Magno, siamo chiamati a conformare la nostra vita alla dignità dei Misteri celebrati.
L’osservazione delle vicende che si svolgono intorno a noi rende consapevoli, innanzitutto noi Pastori, che oggi non basta più deplorare o denunciare le brutture del nostro mondo. Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche. E’ tempo, piuttosto, di parlare con un cuore carico di amore compassionevole, facendo esperienza di quella carità che dona con gioia e suscita entusiasmo; è tempo di irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio. E’, dunque, tempo di comunicare ciò che Pietro aveva capito dinanzi a Gesù trasfigurato, quando esclamò: «Signore è bello per noi restare qui» (Mt 17, 4).
Perciò, siamo convinti che, nelle diverse situazioni di prova della vita e della storia, è bello vivere questo nostro tempo, che pur ci appare così pieno di cose brutte e laceranti, cercando di interpretarlo nei suoi enigmi dolorosi e inquietanti. E’ bello cercare nella storia i segni dell’Amore Trinitario; è bello seguire Gesù e amare la sua Chiesa; è bello leggere il mondo e la nostra vita alla luce della Croce; è bello dare la vita per i fratelli! E’ bello scommettere la propria esistenza su Colui che non solo è la verità in persona, che non solo è il bene più grande, ma è anche il solo che ci rivela la bellezza divina di cui il nostro cuore – come attesta S. Agostino – ha profonda nostalgia e insieme bisogno (cf. C.M. Martini, Quale bellezza salverà il mondo?, Lettera pastorale 1999-2000).
+ Filippo SANTORO
Arcivescovo Metropolita di Taranto