Tre sono i principali valori che questo importante fenomeno ecclesiale ci trasmette: una "profonda fede in Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere", una robusta formazione morale che trova nella penitenza il cammino per cambiare dall'interno il confratello e , infine, l'assistenza.

Le Confraternite laicali a Taranto dal XVI al XIX secolo di Antonio Rubino. In “L’Officina” anno V, numero 2-3 [fascicolo IX-X]- aprile 2019

Le confraternite sono un corpo laicale autonomo, organizzato democraticamente, con proprie regole e amministrazione, avente per scopo principale la "salus animarum" dei confratelli

L’avvicinarsi della Pasqua invita all’attenzione della Città, nella settimana Santa, le annuali processioni tarentine di due antichi sodalizi confraternali: S. Domenico e dell’Addolorata e S. Maria del Monte Carmelo.

L’abito che indossano i confratelli, il cappuccio sul capo, le numerose statue, l’incedere lento con movimenti dondolanti e a piedi scalzi, attraggono i presenti ai loro riti.

Ambedue i sodalizi confraternali hanno segnato, nel tempo, la storia della Chiesa presente a Taranto, insieme a un nutrito numero di altre Confraternite[1] tarentine che si sono consolidate dal XVI al XIX secolo, presentandosi come un importante veicolo di aggregazione laicale, una scuola di fede, un luogo di carità per i confrati e, attraverso l’opera assistenziale propria di ciascuna confraternita, anche per i poveri. Da un’attenta ricerca emerge un mondo ricco di cammino di fede, desideroso di vivere un’esperienza di Chiesa pur nella conflittualità della vita di ogni giorno, aperto a quei dinamismi che nascono dalla virtù teologale della carità e che si sono espressi nelle varie forme di assistenza legate alle fisionomie di ogni Confraternita.

Spesso, però, l’attenzione a questi sodalizi è epidermica e concentrata unicamente su particolari rituali che oggi sembrano essere importanti, in qualche caso alimentati da aneddotica, ma che sono, invece, secondari rispetto alla portata del ricco contributo, molto più certamente ingente e non solo cultuale, che le Confraternite hanno fornito alla nostra Città nel contesto socio-religioso dell’età moderna.

 

  1. Alcuni elementi metodologici.

 

Nel tracciare la storia di questa importante realtà potrebbe nascere il rischio di una lettura che la presenti come espressione di cultura folklorica[2] implicita in grande misura in determinati strati della società, religione delle classi subalterne in contrapposizione alla religione ufficiale[3] o il prodotto di sincretismo magico-religioso in forma pagano-cristiana[4].

È indispensabile andare al di là da questa lettura parziale delle fonti del mondo confraternale, realizzando una paziente ricostruzione filologica del suo linguaggio, un’attenta lettura del significato della sua presenza nel contesto socio-religioso e soprattutto individuando nella religiosità popolare, che questo mondo esprime, la ricerca di quella pietas che è “quello stato, e quello solo, della vita dell’uomo quando egli ha presente  in sé, per consuetudine di amore, Iddio[5].

Un esempio di attenta ricostruzione filologica del linguaggio confraternale ci viene dal mettere, bene a fuoco, il significato dell’attività caritativa, badando ad ogni ambiguità che può scaturire da una pura lettura socializzante dei testi. La Confraternita non assisteva il povero, lo aiutava nello spirito della carità, che voleva dire prova, testimonianza del confratello che nel povero vedeva la figura del Cristo, il che conferisce tutta un’altra dimensione all’atto che noi definiamo sociale[6]. L’assistenza, infatti, non era ciò che noi intendiamo oggi, ma un continuo esercizio della carità nel segno dell’insegnamento evangelico, perché il povero non era visto nel Medioevo come un emarginato, ma come un’occasione offerta da Dio per attestare la fede[7].

Altresì l’identità spirituale del movimento confraternale non consiste solo nell’enfasi posta sul vivere-insieme-la-fede, ma investe anche altri aspetti. È frequente l’opinione che i cristiani impegnati in queste realtà anticipino, senza intenzione esplicita, i tempi di aggiornamento e di riforma della Chiesa tridentina. Basti ricordare l’uso del volgare nelle preghiere con secoli di anticipo sulle decisioni del Vaticano II. In alcuni casi si è verificata anche un’ammissione di donne accanto a uomini. Inoltre nelle opere di assistenza le Confratenite hanno segnato abitualmente la frontiera più avanzata dell’impegno cristiano di diaconia, affrontando bisogni nuovi, disattesi dalla Chiesa ufficiale come dalle organizzazioni sociali. Talvolta la formula confraternale è stata il veicolo duttile e adeguato per iniziative di rinnovamento spirituale di fronte ad una Chiesa a tratti inerte e disorientata, come, ad esempio nel caso degli Oratori del Divino Amore, che nei primi decenni del Cinquecento riunirono fedeli sensibili all’urgenza di un rinnovamento evangelico nella fede come nelle opere, cui la Chiesa ufficiale era ancora sorda[8].

Nell’approfondire lo studio del mondo confraternale nella città di Taranto in età moderna manca la possibilità di creare un rapporto di analogia e di continuità, attraverso la ricerca delle fonti, con il periodo medievale. Questa difficoltà è una costante, in linea di massima, per tutta la Puglia[9] e per l’Italia meridionale in genere.

Una risposta a questo importante problema dovrebbe essere la mancanza, secondo Cosimo Damiano Fonseca, di quella presenza di strutture di base legate ad insediamenti demici autonomi, dove era possibile esprimere, sotto forma associazionistica e solidaristica, alcune essenziali esigenze di una comunità. Tale è l’Italia centro-settentrionale nel suo momento comunale-signorile, dove la struttura urbana è la  struttura  portante  della  società  locale, a  differenza del Mezzogiorno, sostanzialmente un territorio senza città. L’assenza, dunque, di un Medioevo confraternale pugliese e meridionale non è il risultato di una mancanza storiografica o di un’assenza di documentazione, ma la conseguenza della mancanza di strutture demiche stabili di carattere urbano e di forme di aggregazione risultante da un consenso politico e sociale pronunciato. A questa posizione si contrappone lo studio di L. Bertoldi Lenoci che nella mancanza dell’esperienza comunale non vede un elemento sufficiente per avallare l’ipotesi di una totale assenza dell’istituto confraternale[10].

In Puglia, comunque, allo stato attuale delle ricerche si riscontra una notevole difficoltà a recuperare documentazione per il Medioevo e per buona parte del XVI secolo.

 

  1. Le fonti dello studio confraternale

 

Alla fine degli anni Settanta gli studi sulle confraternite meridionali hanno avuto un notevole impulso soprattutto con le ricerche di storia sociale e religiosa promosse da Gabriele De Rosa e Giuseppe Galasso: emerge un quadro generale che non permette di pensare ad uniformità tra il mondo confraternale del Mezzogiorno con le medesime istituzioni delle altri parti d’Italia. La confraternita meridionale, secondo Antonio Cestaro, si caratterizza sia per la sua funzione spesso ambivalente nel gruppo dei cosiddetti luoghi pii laicali, sia per il particolare tipo di rapporti instaurato con le altre istituzioni ecclesiastiche.

Le note dominanti nel variegato panorama confraternale del Sud, nell’età moderna, a parte le preminenti e originali istanze religiose-devozionali, possono essere individuate nella tendenza all’autonomia, all’autogoverno, nella persistente rivendicazione della laicità dell’istituzione attraverso una serie di processi avviati nei tribunali della Capitale, nel clima delle lunghe controversie giurisdizionali che caratterizzarono la storia del Viceregno, a partire dalla seconda metà del Seicento[11].

Il periodo post-tridentino ha ottenuto notevole approfondimento di studio per quanto riguarda, anche, le confraternite pugliesi. A quest’approfondimento ha dato un particolare contributo il Centro Ricerche di Storia Religiosa in Puglia che, con gli studi avviati negli anni ’80 su tutto il territorio regionale prima in modo episodico, dopo la fondazione  del Centro, in maniera   organica e sistematica, ha fatto crescere la conoscenza dell’associazionismo confraternale relativo all’epoca moderna.

Le fonti che portano alla conoscenza del mondo confraternale pugliese sono molteplici: le pergamene, l’architettura, l’iconografia e l’oggettistica devozionale. Gli Archivi delle confraternite sono spesso inesistenti, nel senso che difficilmente se ne trovano che  permettano di seguire una confraternita dalla nascita  a tutte le tappe importanti della vita associativa. Gli Archivi diocesani sono un’altra fonte ecclesiastica particolarmente importante dalla quale è possibile attingere sia grazie alle Visite pastorali dei Vescovi diocesani che agli eventuali Sinodi diocesani. A queste fonti se ne aggiungono altre di provenienza statale: dal Fondo Cappellano Maggiore dell’Archivio di Stato di Napoli, al Catasto Onciario, ai documenti del Consiglio generale degli Ospizi custoditi dagli Archivi di Stato provinciali e infine gli archivi privati.

Lo studio del mondo confraternale della diocesi di Taranto si colloca all’interno di quest’attenzione di ricerca nata negli anni ’80 e presenta una realtà di Chiesa, dove le confraternite sono particolarmente numerose. Nella città di Taranto[12] e nelle cittadine di Martina Franca e Grottaglie le associazioni confraternali s’inseriscono in ambienti socio-economici più complessi e articolati, mentre nei casali[13] del resto della diocesi la confraternita rappresentava l’unica realtà sia aggregativa che caritativa-assistenziale, ma anche il veicolo privilegiato per la diffusione delle devozioni e per la formazione spirituale in genere.

La carenza delle fonti che provengano  dagli archivi confraternali, per Taranto, è il primo problema che risalta  evidente. Questi archivi sono quasi inesistenti a causa sia delle ripetute ristrutturazioni o demolizione degli Oratori e delle sedi, a cui si aggiungono i numerosi trasferimenti, gli incendi e spesso l’inadeguatezza dei luoghi dove sono stati conservati.

Per ricostruire la storia del mondo confraternale a Taranto, tenuto conto che le testimonianze architettoniche e iconografiche sono particolarmente scarse, è indispensabile rifarsi a documenti scritti che non sono anteriori al XVI secolo. La prima di queste fonti a cui si può fare riferimento sono le Visite  pastorali degli arcivescovi diocesani che permettono, attraverso le loro relazioni, di far conoscere sommariamente il numero delle confraternite, i rapporti con le parrocchie e gli ordini religiosi, la spiritualità e gli abusi.

La  prima visita pastorale (1576-1578) è quella di mons. Lelio Brancaccio[14] che ha inserito nel testo della relazione le antiche regole della confraternita  di  S.  Cataldo. Importanti per questa ricerca sono sia le Visite pastorali degli arcivescovi Frangipane, Caracciolo, Sarria, Pignatelli, Capecelatro, Rotondo, che le relazioni delle Visite ad limina, dal XVI al XIX secolo.

Il Concordato del 1741, stipulato tra Carlo III e Benedetto XIV, prescrisse l’obbligo dell’approvazione regia per l’istituzione delle confraternite. Quest’avvenimento, che segna una tappa della storia confraternale nel Regno di Napoli, permette oggi di reperire una ricca documentazione settecentesca. Copie degli Statuti si conservano presso l’Archivio di Stato di Napoli, fondo Cappellano Maggiore e Camera di S. Chiara.

A Taranto queste copie, anche tarde, sono conservate presso l’Archivio Storico diocesano e nell’Archivio di Stato (sezione amministrativa fondo Prefettura-Affari concernenti le Opere Pie  e sezione notarile fondo Atti notarili). Materiale che riguarda il mondo confraternale è, anche, conservato presso archivi privati.

 

  1. La vita associativa: la formazione e le finalità.

 

Da un’attenta lettura delle regole, completata con quella delle relazioni delle Visite pastorali degli Arcivescovi e da altra documentazione, è possibile rendersi conto come in questa formula aggregativa si sono espressi i dinamismi più vivi e le attese spirituali più profonde che hanno solcato la società tarentina dal XVI al XIX secolo, ma è anche possibile rilevare la tipologia di presenza delle confraternite nella vita religiosa della Città: emerge chiaramente che l’istituzione confraternale è stata una scuola di concreta vita di fede, di socialità e di impegno assistenziale.

Le regole esprimono la mentalità del tempo in cui sono state redatte e traducono in regole il sentimento religioso comune al popolo. Un’analisi comparativa dei testi permette di cogliere l’impianto comune non soltanto nella sequenza degli articoli e delle definizioni giuridiche ma, soprattutto, nell’enunciazione della natura e delle finalità dei sodalizi.

Emerge chiaramente da questi documenti che la vita associativa, che è messa in evidenza nei singoli articoli, esprime pienamente l’esigenza dei confratelli a stare insieme, che va dal vivere un’esperienza di fede al socializzare, dall’impegnarsi in attività caritative al garantirsi assistenza spirituale e materiale nel momento della morte e a una dignitosa sepoltura.

Questa pluralità di risposte, che si trovano nella vita associativa espressa dalle confraternite, sta certamente alla base dell’esigenza di molti uomini, e in alcuni casi anche di donne, di inserirsi in un’esperienza che potesse appagare pienamente la molteplicità di quei dinamismi propri dell’esistenza umana. Vita associativa è insieme tutte queste realtà espresse che trovano pieno riscontro nelle Confraternite, che potemmo definire un autogoverno democratico.

Una prima esigenza è la nomina degli Ufficiali, cioè di quelle cariche elettive che annualmente erano scelte dai confratelli riuniti in assemblea, nel giorno della festa del sodalizio o in un altro fissato per statuto. Nella confraternita della SS. Croce il giorno fissato era la terza domenica di dicembre, in quella di S. Maria della Pace dopo pranzo del giorno di Pasqua.

Nel più antico degli statuti che possediamo, quello di S. Cataldo in S. Caterina, si parla di un Priore e di quattro ordinati ed è significativa l’attenzione che i confratelli dovevano prestare ad essi: “si ordina che qualsivoglia delli confratri debbano dare obbedianza al Priore della confraternita et alli quattro ordinati, come a maggiori in tutte le cose giuste, licete et honeste, et quelli li quali saranno inobedienti allo priore, o vero all’ordinati, si possono condannare in una libbra di cera per ciascheduna volta che incorrerà et altra piena allo loro arbitrio reservata”[15].

Circa il numero degli iscritti ai sodalizi, per la maggior parte delle confraternite, non è stabilito un numero chiuso o la necessità di appartenere ad una categoria professionale. Mentre per quella della SS. Sacramento il numero dei fratelli è fissato a cinquanta e sono precisate le due categorie professionali cui devo appartenere: “di due sorti di arti, cioè Sartori e Scarpari” Anche per il Priore l’avvicendamento è nell’ordine delle due categorie professionali. La confraternita di S. Maria di Costantinopoli era prevalentemente di commercianti marittimi. Molti sodalizi sono aperti anche alle “consore”.

Aspetto importante della vita associativa era l’ammissione del nuovo confratello, sempre preceduta da un tempo di noviziato di almeno sei mesi. La necessità di conoscere il candidato, di introdurlo alla comprensione della vita associativa e alle pratiche di pietà emerge di fondamentale importanza in tutti gli statuti confraternali, a tal punto che quello di S. Maria della Pace stabilisce che “in questa confraternita non ci possono entrare, né riceversi persone che soglion essere cagione di risse, di scandalo, di male edificazione, con pratiche di donne pubbliche, di giuochi ed altri vizi”.

La vita associativa così strutturata provocava nei confratelli un forte spirito di corpo che era motivo di crescita  ma, spesso, scantonava in molti atteggiamenti negativi. Un editto di mons, Capecelatro del 31 gennaio 1786 ci permette di conoscere una lite nata per il diritto di precedenza durante un funerale. Questa litigiosità per le precedenze porterà l’Arcivescovo a emanare il 9 febbraio 1786 un altro editto col quale stabiliva che la data del regio assenso, di ciascun sodalizio, fosse punto di riferimento per la precendeza nelle processioni.

La presenza del Padre spirituale è sollecitata in tutte le regole confraternali, mettendola in evidenza come importante per la predicazione, la confessione e la celebrazione della Messa nell’Oratorio confraternale, “senza punto ingerirsi negli affari temporali, o negli interessi della Congregazione”.

La vita confraternale si prefiggeva delle importanti finalità da far raggiungere ad ogni confratello. La regola della confraternita di San Cataldo la evidenzia in questo modo: “in primis si ordina e si commanda… che qualsivoglia confratre di questa confraternita habbia da servire Nostro Signore Dio come fedele cristiano con puro cuore ed perfetta fede et buona intenzione, che habbiano da vivere con buoni costumi et guardarsi di non praticare con huomini di mala vita e fama et amare lo prossimo suo come sé medesimo”. Le regole della confraternita dell’Immacolata presentano come scopo principale degli iscritti “dar buon esempio agli altri, e fuggire quelle cose che possono portare male esempio, come sono le pratiche di uomini cattivi, e ragionamenti poco onesti, bestemmie, detrazioni e giuramenti falsi”. Negli statuti s’insiste molto su questo cambiamento di vita, sia privata sia pubblica, che deve avvenire in ogni confratello che sceglie di vivere la vita comune del sodalizio. “Era dovere del confratello – leggiamo nelle regole della confraternita di San Giuseppemenar vita nuova attendendo al servizio di Dio e del gran Patriarca san Giuseppe”. Da questo effettivo cambiamento di vita spirituale nascevano tutti quegli atteggiamenti di vera solidarietà sia all’interno del sodalizio sia nei riguardi dei poveri.

Particolarmente oculata e controllata era l’amministrazione interna del sodalizio. La confraternita della SS. Sacramento stabiliva che l’amministratore era tenuto a presentare ogni anno “i conti della sua amministrazione… con legittimi documenti ai Razionali”, questo rendiconto, che era specificato, fosse dettagliato in tutte le voci, nel caso non fosse stato presentato era compito del Priore esigerlo perfino con il “farlo astringere dal Giudice iuris ordine servato, pena della privazione della propria carica”. Un categorico avvertimento esprime la regola di S. Maria del Carmine del 1777: “Si proibisce a tutti di servirsi del denaro della Congregazione per farne negozio, sotto pena di essere irremissivamente cassato dalla Congregazione”.

Il sodalizio dell’Immacolata nelle regole sottolineava che “né i cassieri, né ii Priori di banca” potevano spendere alcuna somma senza il mandato “sottoscritto dal Priore… altrimenti non gli sarà mesato buono”: il Priore poteva ritenere atti di ordinaria amministrazione, “spese solite”, quelle fino a venti carlini, per superare quella cifra doveva avere la maggioranza “dei voti secreti dei Fratelli”.

 

  1. Gli esercizi della “pietà”.

 

Lo scopo specifico, comune a tutte le confraternite tarentine, può essere indicato con l’espressione salus animarum, che permette di distinguerle sostanzialmente dalle corporazioni, che avevano come scopo la difesa degli interessi del rispettivo mestiere.

La “pietà” confraternale s’inserisce pienamente in quella spiritualità post-tridentina, che è accentuazione di dottrine e forme di culto specificamente cattoliche, sì da divenire una pietà anti-protestante e quindi confessionale[16]. In questo lavoro di formazione di una pietà confraternale molto hanno contribuito gli ordini religiosi, ma soprattutto il bisogno, che sentivano i confratelli, di partecipare pienamente alla vita cristiana con pratiche religiose “comprensibili[17].

Le regole della congregazione del SS. Crocifisso propongono un cammino per raggiungere questa salvezza a cui tendeva ogni confratello : “lo scopo di questa congregazione è rendere i fratelli imitatori del Crocifisso, che come a quello vivo e morto piacque mostrarsi umile, ch’è il fondamento dello spirito, così anche essi per amore dello stesso, della cui congragzione si gloriano di essere, debbano farne verace professione”. Le regole di S. Cataldo invitano “in primis si ordina e commanda… che qualsivoglia confratre in questa confraternita habbia da servire Nostro Signore Iddio come fedele cristiano con puro cuore et perfetta buona intenzione”.

La spiritualità laicale che emerge, dalla lettura di tutti gli statuti dei sodalizi tarentini, è di notevole importanza e anima il confratello nel vivere l’essere cristiano nel tempo del mercante che si era irrimediabilmente sostituito a quello della Chiesa[18].

Gli esercizi della pietà sono alla base del desiderio di acquisire la salus animarum, che nella riscoperta della pratica sacramentale trova il suo punto di forza. E’ eccezionale l’attenzione che le regole hanno verso i sacramenti dell’Eucarestia e della Confessione.

Ogni confraternita stabilisce una domenica al mese nel rendere obbligatoria la confessione e la comunone: in quella di S. Domenico l’appuntamento è nella terza domenica e viene specificato “nella cappella del Santo e con l’Abito”; in quella del Rosario è previsto anche che si dovrà “prima della comunione leggere ad alta voce dal Priore, rispondendo li fratelli, gli atti preparatori, e così dopo la comunione gli atti di ringraziamento”.

Legata alla penitenza sacramentale è la pratica della penitenza corporale: la disciplina. Tutte le regole si soffermavano sulla presenza di questa pia pratica e com’era sollecitata l’urgenza che la carità verso Dio doveva allargarsi al fratello, così il perdono ricevuto da Dio nel sacramento della confessione doveva diventare misericordia per gli altri, ma anche, in certi casi, avere attraverso la disciplina un segno esterno sulla propria persona.

Ogni confraternita dedicava un incontro settimanale alla disciplina: l’imitazione del Cristo crocifisso  sta certamente alla base di queste forme di pietà, che la confraternita di S. Maria del Carmine chiama “esercizi spirituali”, che diventerebbero incomprensibili se non fossero così motivati.

La recita del rosario è un altro elemento importante che è sollecitato dagli statuti. La confraternita del S. Rosario invita a “riunirsi in oratorio tutte le domeniche e in tutte le festività della Vergine e degli Apostoli per la recita del rosario”. La devozione mariana è un punto di forza della pietà confraternale. A Taranto sette confraternite erano dedicate, con diversi titoli, alla Madonna, espressione della grande devozione mariana nel popolo di Dio. La confraternita di S. Maria della Mercede esortava i fratelli all’imitazione di Maria “la cui umiltà tanto piaceva all’Altissimo”; quella di S. Domenico e dell’Addolorata orientava i confratelli al cuore di un altro aspetto della vita di Maria, “i sette dolori”, e inaugurava una processione, alla fine del XVIII secolo, della statua dell’Addolorata.

Genuina espressione di pietà erano quelle devozioni come le processione e i pellegrinaggi, spesso promosse dalle confraternite che non disdegnavano ad avere dei momenti pubblici di testimonianza di fede. Ogni confraternita legava alla festa del sodalizio la processione del Santo cui era dedicata, del Corpus Domini per quella del SS. Sacramento e alle feste della B. Vergine per quelle a Lei intitolate. Tutte le confraternite partecipavano il Venerdì Santo ad una processione organizzata dalla nobile famiglia Calò, con le statue del Cristo morto e della B. Vergine Addolorata. Questa processione fu poi affidata alla confraternita di S. Maria del monte Carmelo, alla quale la famiglia Calò donò anche le statue.

 

  1. Le forme di assistenza

 

Essendo il vincolo della carità, che ci tiene uniti con Dio, è duopo che tutti i fratelli procurino manifestarla nel maggior bisogno del prossimo”. Questo invito delle regole, ai confratelli del SS. Crocifisso e Purgatorio, ci permette di mettere a fuoco il significato dell’assistenza per l’istituzione confraternale tarentina dal XVI al XIX secolo e il ruolo importante che ha nell’ambito della vita associativa.

L’amore per Dio che i confratelli assimilavano durante i periodici incontri per la lettura delle regole, gli appuntamenti per la disciplina, l’orazione mentale, la vita liturgica e sacramentale, quest’amore per Dio educava gli iscritti al sodalizio ad aprire il cuore al prossimo[19]. E il prossimo non era solo il confratello che “accadesse qualche forma di malattia, carceri o altro” da visitare spesso e aiutare spiritualmente e corporalmente, come affermano le regole del SS. Crocifisso. Prossimo erano, anche, i carcerati, gli esposti, le ragazze madri, le zitelle da maritare e, dovunque c’era bisogno ”di servire Nostro Signore Dio come fedele cristiano con puro cuore et perfetta fede ed buona intenzione”, sottolineano le regole di S. Cataldo.

Di particolare importanza, per la sua completa dedizione ai poveri è il Monte di Pietà. Il cardinale Caetani nel 1614 formulò uno statuto per regolare la vita di questo fattivo ente, e la lettura dei sette capitoli che formano queste regole ci dà la possibilità di elaborare una mappa dei bisogni di povertà presenti nella Città in quel periodo storico[20].

Il primo obiettivo che si prefigge il Monte della Pietà è verso i bambini “esposti”. Il cardinale Caetani, dinanzi a questo costume dell’epoca, invita il Monte della Pietà a provvedere alla presenza di una donna vicino la “ruota” dove venivano abbandonati questi bambini, per dar loro il primo soccorso, in seguito venivano affidati a nutrici perché li allevassero. Era affidato al Priore l’impegno di sorvegliare le nutrici, visitandole “per vedere come sono trattati, allevati et provvedere ai bisogni”. Il “controllato” affidamento si prolungava sino “all’età in cui non habbiano più bisogno d’essere allevati”, era eliminato il loro nome dal registro degli “esposti” e si provvedeva a indirizzarli “a qualche honesto esertitio, o di servitii o d’arte perché puoco sarebbe haverli allevati a tempo che erano fanciulli, se non s’havesse poi d’havere pensiero di quelli già adulti, et in età suggetta a maggiori pericoli”.

Altro oneroso impegno comune alla maggior parte delle confraternite era la distribuzione delle elemosine. Un incarico particolare era dato ad alcuni confratelli, perché si adoperassero a trovare i fondi sufficienti per questo impegno assistenziale, e in alcuni sodalizi troviamo dei lasciti riservati per questa attività caritativa. Nel Monte della Pietà spettava ai Priori visitare i Pittaggi della Città per approntare di mese in mese, aggiornandolo sempre, l’elenco delle persone da aiutare. Questo lavoro “organizzato” permetteva a chi elargiva le elemosine di capire se era necessario assegnare un contributo mensile o farlo solo per il tempo necessario del bisogno. All’elemosina seguiva l’aiuto gratuito dei “medicamenti” per gli infermi poveri.

Altro impegno d’assistenza del Monte della Pietà e di altre confraternite è la dote per il “maritaggio delle zitelle” che veniva consegnato il giorno della festa del Corpus Domini. Anche la confraternita del SS. Sacramento si riservava di contribuire al “maritaggio” delle figlie dei consociati.

Tutte le confraternite sentono fortemente l’impegno assistenziale per i carcerati e gli infermi. La loro vita comune non era fine a stessa, ma tutto in essa concorre a realizzare un’intensa esigenza di testimonianza e di carità. Questa apertura ai bisogni del prossimo viene sottolineata nella relazione di Mons. Brancaccio dalla quale si rileva che la confraternita del SS. Rosario elemosinava per la Città due volte la settimana e col ricavato di circa 70 ducati provvedeva ai bisogni dell’ospedale.

La confraternita della SS. Trinità dei Pellegrini si dedicava all’accoglienza e all’ospitalità dei pellegrini e di quanti fossero in stato di bisogno e nel caso morissero anche alla loro sepoltura.

La confraternita della SS. Croce prestava assistenza nelle ore stabilite “nei pubblici ospedali per sollevare, servire ed istruire gl’infermi che rappresentano la persona di Gesù Cristo”, ma anche nelle carceri “per procurare un ristoro ai detenuti, trattandoli con somma carità ed istruirli nei doveri cristiani senza omettere di soccorrerli nelle loro disgrazie, ove siano abbandonati da quei mezzi che la legge riconosce”, e verso i ragazzi poveri “perché imparino un’arte o un mestiere, onde poter vivere onestamente”.

 

 

 

 

Dalla lettura attenta delle Regole dei Sodalizi tarentini, dallo studio delle relazioni degli Arcivescovi per le Visite Pastorali e ad Limina, da ciò che è conservato nei documenti presenti nell’Archivio di Stato di Taranto e in alcuni archivi privati, emerge un fenomeno aggregativo che si caratterizza tra i più singolari nella storia della Chiesa di Taranto nell’età moderna. È straordinario che queste strutture associative abbiano resistito per secoli, trasmettendo mentalità e stile di vita.

La Confraternita, così come emerge dai documenti, è un sodalizio di “confratri” che “coll’effetti di una vita cristiana e religiosa vogliono attendere al servizio di Dio” (c. S. Maria della Pace) e “all’aiuto del prossimo” (c. dell’Immacolata). In questa definizione storica si trovano gli elementi che haTnno caratterizzato le Confraternite tarentine dal XVI al XIX secolo: un corpo laicale autonomo, organizzato democraticamente, con proprie regole e amministrazione, avente per scopo principale la salus animarum dei confratelli.

Quali valori emergono?

Tre sono i principali valori che questo importante fenomeno ecclesiale ci trasmette: una “profonda sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere”[21], una robusta formazione morale che trova nella penitenza il cammino preferito per cambiare dall’interno il confratello e, infine, l’assistenza.

Le Confraternite tarentine hanno segnato la vita civile e religiosa della Città. La religiosità popolare che esprime l’istituzione confraternale non è una categoria a sé, un’altra religione con connotati chiaramente e nettamente autonomi, ma è la stessa religione “ufficiale” vissuta secondo gli umori, le convenzioni, gli interessi, le abitudini, le resistenze mentali dell’ambiente storico nel quale sono nate e si sono espresse.

Antonio Rubino

[1] Confraternite: S. Giuseppe, Immacolata Concezione di Maria Santissima, S. Gaetano da Thiene, S. Maria della Mercede, SS. Sacramento, Monte della Pietà, S. Maria di Costantinopoli, SS. Trinità dei Pellegrini, S. Cataldo in Santa Caterina, S. Maria della Scala, SS. Crocifisso, SS. Nome di Dio, S. Maria della Pace, S. Nicola da Tolentino, S. Antonio da Padova, SS. Croce, S. Maria di Piedigrotta e SS. Gennaro e Catello. Cf A. Rubino, Le Confraternite laicali a Taranto dal XVI al XIX secolo, Fasano 1995.

[2] Cf  P. Toschi, Il folklore, Roma 1960.

[3] Gramsci nel trattare quest’argomento distingue la religione degli intellettuali, soprattutto dei religiosi ed elaborata in maniera sistematica dalla gerarchia ecclesiastica, dalla religione dei semplici che viene praticamente a coincidere con la religiosità popolare: cf A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Torino 1975, pp.2311-2312.

[4]  Due autori hanno indicato la religiosità popolare con i termini di magico-religioso e magico-sacrale: E. De Martino, Sud e magia, Milano 1959; A. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna, Torino 1956.

[5] G. De Luca, Introduzione alla storia della pietà, Roma 1962, p.7.

[6] F. Cardini, L’ideologia della pietà nel mondo medievale, in L. Bertoldi Lenoci (a cura di), Le confraternire pugliesi in età moderna 2, Fasano 1990, pp. 41-45.

[7] G. De Rosa, Problemi della storiografia confraternale, in L. Fiorani (a cura di), Le confraternire romane, esperienza religiosa, società, committenza artistica, Ricerche per la storia religiosa di Roma/5, Roma 1984, p. 25.

[8] Cf G. Alberigo, Dimensioni spirituali e teologiche del movimento confraternale, in L. Fiorani (a cura di), Le confratenite romane …, p. 33.

[9] È possibile trovare qualche lavoro che riguardi la presenza confraternale nel Mezzogiorno d’Italia ma limitatamente  al Quattrocento: S. Palese, I  ‘”capituli” di S . Maria de la Nova di Giovinazzo (1492). Contributo alla storia delle confraternite in terra di Bari, in Archivio Storico Pugliese, XXXI,  1978, pp. 165-199; G. Vitale,  Una confraternita di Disciplinati a Potenza nel secolo XV, in A. M. Perrone Capano Compagna (a cura di), Testi lucani del Quattro e Cinquecento,  Napoli  1983, pp.  53-72.  Qualche breve indizio emerge, poi, dalle relazioni di alcuni vescovi alle visite pastorali pretridentine, di cui in Puglia si conservano alcuni casi. Uno studio di Antonietta Latorre cita, invece, il ritrovamento di documentazione  tardo  medievale  per  sei  confraternite pugliesi: cf A. Latorre, Le confraternite di Fasano dal XVI al XX secolo, Fasano 1993, p. 18.

[10] L. Bertoldi Lenoci, L’istituzione confraternale: aspetti e problemi, in C. Gelao (a cura di), Confraternite arte e devozione in Puglia dal Quattrocento al Settecento, Napoli 1994, p.20.

[11] A. Cestaro, Il fenomeno confraternale nel mezzogiorno, in V. Paglia (a cura di), Confraternite e meridione nell’età moderna, Roma 1990, p. 19.

[12] Presento in ordine cronologico alcuni studi utili per la conoscenza del mondo confraternale tarentino: P. Carelli, I riti della Settimana Santa in Taranto, in Rassegna del Comune, XXV, 1957, pp. 3-26; F. Fella-F.P.Marcoleoni, La confraternita di S. Maria del Monte Carmelo nella storia di Taranto, Bari 1979; G. Acquaviva, La Settimana Santa a Taranto, Fasano 1981; N. Caputo, L’anima incappucciata, Taranto 1983; F. Fella, La confraternita di S. Domenico e l’Addolorata nell’isola madre, Fasano 1987; C. D’Errico, L’istituzione confraternale della città di Taranto (sec. XV I-X X ), in L. Bertoldi Lenoci (a cura di), Le confraternite pugliesi in età moderna, Fasano 1988, pp. 445-457; F. Semeraro, Le confraternite laicali, in C. D. Fonseca (a cura di), Taranto: La Chiesa/Le Chiese, Taranto 1992, pp. 257-286. Alcuni riferimenti alle  Confraternite tarentine si possono trovare in: D. L. De Vincentiis, Storia di Taranto, 5 voll., Taranto 1878-1879; 2a ed.,Taranto 1983, pp. 299-302; A. Merodio, Historia tarentina raccolta da molti scrittori antichi e moderni e fedelissimi manoscritti, (ms. n. 12 conservato nella biblioteca   civica   “Acclavio”,  Taranto).

[13] V. De Marco, L’istituzione confraternale nei “casali” tarantini nell’età moderna, in L. Bertoldi Lenoci (a cura di), Le confraternite pugliesi in età moderna 2, pp. 863- 873.

[14] La Visita pastorale di mons. Brancaccio è conservata presso l’Archivio Storico diocesano di Taranto (ASDT), fondo antico, serie Visite Pastorali, vol 1.  Cf C. D’Angela – P. Massafra, La Santa Visita di Lelio Brancaccio Arcivescovo di Taranto. Localizzazione e descrizione degli edifici sacri, in Atti del congresso internazionale di Studi sull’Età del Viceregno, Bari 1977, p. 3.

Le seguenti Visite pastorali interessano maggiormente la vita delle Confraternite: mons. Frangipane (1608-1609); mons. Caracciolo (1653-1665); mons. Sarria (1665-1679); mons. Pignatelli (1684-1686).

[15] ASDT, mons. Brancaccio, Fondo antico, serie Visite Pastorali, vol 1, f. 525.

[16] H. Jedin, Vita spirituale pietà popolare ed arte, in H. Jedin (diretta da), Storia della Chiesa, v. VI, Milano 1975, p. 680.

[17] AA.VV., Liturgia e pietà popolare. Nuovi ordini religiosi, in H. Jedin (diretta da), Storia della Chiesa, v. VII, Milano 1978, pp. 647-648.

[18] cf J. Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Torino 1977, pp. 3-23.

[19] Cf G. Tondi Della Mura, Le confraternite tra culto e pietà popolare, in AA.VV. Liturgia e pietà popolare, Atti della XL Settimana Liturgica Nazionale – Taranto 21-25 agosto 1989, Roma 1990, p. 94.

[20] Cf L. Baffi, Origine del Monte di Pietà, Taranto 1882.

[21] Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, n. 48. Le confraternite