21 novembre 2017

L’aderenza alla realtà nella pedagogia di Don Milani

Intervento di un alunno dell'Istituto Archimede di Taranto: Fiume Alessandro

Aderenza alla realtà, un punto centrale nella nostra scuola vicino alla pedagogia di Don Milani. Ogni giorno partiamo dalla realtà quotidiana per acquisire un bagaglio di conoscenze e un vocabolario sufficiente per comprendere la pagina di un libro, le istruzioni di un’apparecchiatura, una procedura da seguire o l’articolo di fondo del giornale per partecipare alle attività della scuola, dell’alternanza che facciamo in azienda, o per riuscire a leggere un manifesto nelle strade del nostro territorio.

In classe abbiamo letto di un uomo che aveva fatto nascere un modo nuovo di fare scuola , eppure questa scuola si avvicina molto al nostro modo di apprendere, al nostro modo di conoscere e di capire le cose.

Entro nel laboratorio di meccanica, quel professore ha fatto la storia di questa scuola. Mille volte avrà smontato e rimontato i pezzi di quel motore, e così mi torna in mente il racconto di un allievo della scuola di Barbiana:

Chi non ricorda di noi allievi, con forte emozione, l’automobile d’Adele smontata completamente e rimontata solo perché qualcuno aveva espresso il desiderio di conoscere il motore?”. Questo giovane, un tempo alunno di Barbiana, oggi si occupa della formazione di adulti e ragazzi, così commenta: “Lo sfondo integratore, su cui i progetti di Barbiana prendevano forma, era la realtà, gli avvenimenti letti sul giornale oppure narrati da innumerevoli visitatori che salivano a trovarci. Il complesso delle cose concrete, la cronaca di tutti i giorni, diventavano anche il luogo di costruzione del significato. Le nostre ricerche erano sempre monotematiche. Un metodo attivo, quello del saper fare, capace di formare il pensiero autonomo e che ci consentiva di studiare anche da soli o a piccoli gruppi. Imparando e insegnando”. “SEMPRE, CI DICEVA, TUTTA LA VITA”.

Oggi questa idea di scuola sembrerebbe anacronistica, superata e vecchia, invece guardando nelle indicazioni più recenti che persino l’Europa segnala ci accorgiamo della modernità dell’opera di Don Milani. Ogni giovane oggi deve poter lavorare e vivere nella sua terra o deve poter fare scelte che lo portano in altri Paesi. Un giovane che si sposta deve possedere competenze linguistiche, di cittadinanza, di educazione al lavoro e al rispetto dell’altro. È in questo elemento che si ritrova la freschezza delle idee di Don Milani, attualissimo oggi con il bisogno di diffondere il rispetto delle differenze etniche, religiose e culturali.

Don Milani sosteneva che il compito della scuola non doveva essere quello di sfornare laureati, ma di far diventare cittadini sovrani!

“E per questo, l’impresa assorbe tutto il senso di un’esistenza”, per cui, come dice Don Milani, “l’educatore, il maestro, il sacerdote, l’artista, l’amante, l’amato sono la stessa cosa”. La scuola è strumento privilegiato di elaborazione della coscienza personale e sociale: rifiutare questa prospettiva o non potervi accedere produce passività e conformismo. Andare in fondo alle cose, ragionare con la propria testa, porre domande e l’humus culturale in cui non può annidarsi l’ingiustizia. Fare scuola significa svolgere un compito civile di altissimo valore: insegnare a non obbedire criticamente, in quanto l’obbedienza non è più una virtù ma, a livello sociale, la più devastante delle tentazioni e a livello individuale al più subdola.

Grazie a “Lettera a una professoressa” possiamo entrare in aula e vedere come lavorano intorno alla produzione scritta: noi dunque si fa così: “Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un’idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola. Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini e son paragrafi. Ora si prova a dare un nome a ogni paragrafo. Se non si riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene troppe cose. Qualche paragrafo sparisce. Qualcuno diventa due. Coi nomi dei paragrafi si discute l’ordine logico finché nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini.

Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i suoi foglietti e se ne trova l’ordine. Ora si butta giù il testo come viene viene.

Si ciclostila per averlo davanti tutti uguale. Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all’aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un’altra volta. Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola. Si chiama un estraneo dopo l’altro. Si bada che non siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere ad alta voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo dire. Si accettano i loro consigli purché siano per la chiarezza. Si rifiutano i consigli di prudenza”.

Mentre scrivo questo articolo ho davanti a me un professore, è circondato da cinque ragazzi che lo ascoltano mentre con voce molto pacata spiega la lezione. I ragazzi sono molto attenti e coinvolti, lo vedo dai loro sguardi, da come sono seduti. Nessuno di loro ha chiesto di uscire, dall’altre parte ragazzini più piccoli usano l’autocad per la prima volta, felici di aver realizzato il primo prodotto e lo fanno vedere a tutti.

 

                                  alunno  Alessandro Fiume 5 F 

 docente: prof.ssa ALFEO ANNA